Da paese più stabile del continente sudamericano, con istituzioni forti e economia rampante, a società in perenne ebollizione: il Cile affronta oggi un passaggio delicato con il plebiscito sulla nuova costituzione che dovrebbe sostituire quella del 1980 imposta dalla dittatura di Augusto Pinochet. È quasi certo infatti che il voto non metterà fine a un processo – come era nelle intenzioni di chi lo aveva avviato – ma lascerà il Cile in un limbo. Questo se le previsioni quasi unanimi verranno confermate, e cioè che vincerà il “no” al testo redatto dall’assemblea costituente. I sondaggi parlano di una differenza di dieci punti, stabile da parecchie settimane, difficile una inversione di tendenza. Si tratterebbe di un rechazo, cioè “io respingo”, che fino a pochi mesi fa appariva improbabile, dato che il processo andava di pari passo con l’ascesa al potere di Gabriel Boric, presidente da soltanto sei mesi.

Eccessi radicali

Cosa è successo dunque? I fattori sono parecchi, ma il principale errore del movimento costituente, in gran parte figlio della nuova sinistra cilena, appare l’eccesso di sicurezza sulle istanze più innovative e radicali, oscurando la realtà di una società ancora in gran parte conservatrice. I dati mostrano inoltre una solida correlazione tra il sì alla nuova costituzione e la popolarità di Boric, con le curve che hanno invertito la direzione nei primi mesi di governo. Calato l’entusiasmo per la novità del presidente millennial, è venuto meno anche il vento a favore della sua principale battaglia, quella di cambiare il Cile a partire dalla sua carta magna.

C’è una data dove tutto cambia improvvisamente e iniziano le turbolenze, quell’ottobre 2019 quando scoppia la rivolta a Santiago per gli aumenti sui mezzi pubblici e che diventa rapidamente “esplosione sociale”, contro tutto e tutti. Sono settimane che lasciano non solo un bagno di sangue, con 33 morti e migliaia di feriti, e i carabineros che tornano alle pratiche degli anni Settanta, ma la fine di quella sorta di prima repubblica post Pinochet che aveva garantito crescita e stabilità ma anche lasciato profonde contraddizioni. Per pacificare il paese il compromesso è stato quello di concedere ai movimenti in rivolta un processo costituzionale. Sono iniziate le chiamate alle urne. Prima l’80 per cento dei cileni ha detto sì alla nuova carta, poi è stata eletta l’assemblea costituente. Nel frattempo, a fine 2021, l’ex leader studentesco Gabriel Boric diventa presidente. In realtà Boric, e i suoi fedelissimi oggi al potere, sono figli di un’altra ondata di proteste, quelle del 2011-2013. Sono diventati politici di professione, riescono a prendere le redini e organizzare il magma indistinto delle piazze. L’assemblea costituente eletta nasce però squilibrata, perché i cileni scettici o conservatori non vanno a votare quando si tratta di scegliere i suoi 154 membri, metà uomini e metà donne. La sinistra radicale è sovrarappresentata, così come le minoranze etniche, che poi in Cile sono in sostanza gli indios mapuche del sud, in perenne rivolta contro Santiago. Ci sono troppi “indipendenti” della società civile, ognuno che cerca di infilare i propri temi. Ne esce una carta piena di eccellenti intenzioni progressiste, dove per la prima volta al mondo la salvaguardia dell’ambiente diventa un dovere dello stato, un testo ipergarantista e politicamente impeccabile, ma pesante e dettaglista, dall’alto dei suoi 388 articoli. Come ricorda in uno video social a favore del sì l’ex presidente Michelle Bachelet, «ci sono 35 articoli soltanto sui diritti delle donne, nella costituzione attuale nemmeno uno». È finita che è diventata facile bersaglio di dubbi, obiezioni e fake news correlate.

Stato plurinazionale

Uno dei punti più controversi ad esempio è la trasformazione del Cile in “stato plurinazionale”, il che può apparire eccessivo in un paese a fortissima maggioranza bianca. Da cui la contropropaganda che falsamente paventa il cambiamento dell’inno nazionale, della bandiera e addirittura del nome del paese. Altre accuse senza fondamento parlano di possibile abolizione della proprietà privata o del diritto all’aborto fino al nono mese. Più sensate appaiono le obiezioni di chi parla di una wishlist interminabile di diritti che sarà difficile mettere in pratica. Oppure di eccesso di garanzie che potrebbero scatenare dispute infinite nei tribunali. Impossibile definire gli effetti, per esempio, sui conti pubblici di uno stato impegnato a curare i suoi cittadini «dalla nascita alla morte». Oppure come mettere in pratica il diritto di ogni cittadino ad avere una «alimentazione adeguata, salutare, completa e culturalmente rilevante». Gli investitori, ha notato l’Economist, sono poi inquieti per il diritto allo sciopero senza limiti e sull’acqua trasformata da bene privato a bene pubblico. La potente lobby agricola cilena, dove si consuma oltre il 70 per cento delle risorse del paese, sostiene che la svolta crea incertezze sul valore della terra. Gli squilibri sono talmente evidenti che una parte del fronte del sì, tra cui lo stesso Boric, parlano già delle modifiche che il legislativo dovrà mettere in cantiere una volta approvato il testo licenziato dalla costituente. Ma ancor più incerto sarà il futuro nel caso, più probabile, di una vittoria del no. Tecnicamente resterebbe in vigore l’attuale costituzione, ma il fatto che l’80 per cento dei cileni ha votato per eliminarla pone un problema non da poco. Si ricomincerebbe il processo dall’inizio, oppure è possibile mettere mano all'attuale testo per poi sottoporlo di nuovo ai cittadini? I costituzionalisti in Cile sono divisi.

Terremoto politico

L’unica certezza è che la fresca presidenza Boric può uscirne con le ossa rotte. Da quando tutto è cominciato, le cose in Cile e nel mondo sono cambiate. Dai grandi sogni di un paese più giusto e solidale, ora le richieste si sono spostate sull'inflazione, gli effetti della crisi post Covid, l’aumento della violenza. Un episodio ha toccato direttamente il presidente qualche giorno fa: suo fratello Simon, funzionario dell’università del Cile, è stato malmenato da quattro giovani mentre cercava di impedire l'attacco ad una edicola nel centro di Santiago. Il teppismo urbano, spesso con motivazioni falsamente sociali, è un problema serio nelle città cilene. L’eterno conflitto con i Mapuche nel sud, sul quale Boric criticava la mano dura della destra, si è rivelato un pasticcio insolubile. Le frange estreme delle rivendicazioni indios continuano con gli attacchi alle proprietà e alle forze dell'ordine, e Boric non ha potuto far altro che continuare con le politiche precedenti. In questa difficile situazione un’ondata di no oggi nelle urne potrebbe azzoppare ancora di più la sua leadership.

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