Juàn Diego Perdomo, 17 anni; Juàn David Garcìa, 29 anni; Nicolàs Guerrero, 27 anni. Sono solo tre dei giovani uccisi dalla polizia colombiana durante le proteste contro la riforma fiscale proposta dal presidente Ivan Duque, che vanno avanti dallo scorso 28 aprile. In una settimana di proteste e scontri, secondo i dati diffusi dalla ong Temblores, ci sono state 37 vittime, 26 persone hanno riportato ferite agli occhi, 234 ferite da arma da fuoco, 934 sono state arrestate. Gli interventi violenti da parte delle forze dell’ordine nelle maggiori città della Colombia sono stati 341. Non solo, sempre secondo il rapporto aggiornato quotidianamente dalla ong, 11 donne sarebbero state vittime di violenza sessuale. Ieri, inoltre, è stata pubblicata la lista dei manifestanti arrestati illegalmente dalla polizia e considerati «desaparecidos»: 220 persone, di cui 45 donne e 175 uomini, sono scomparse solo a Cali; e altre 133, in altre città.

Senza tregua

«Mio figlio era a due traverse dalla porta di casa. Io lo vedevo camminare, era da solo. Lo vedevo e ho visto quando gli hanno sparato. Era solo, disarmato», così Milena, mamma di Santiago Murillo, 19 anni, in una telefonata diffusa sui social dalla Fondazione Pace e Riconciliazione, racconta la morte di suo figlio, ucciso da un poliziotto il 1˚ maggio.

La Colombia si è trasformata in un campo di battaglia: elicotteri volano bassi sui tetti delle case, lanciando lacrimogeni e sparando in volo sui civili. In diversi barri, in cui sono presenti bambini e anziani, gli squadroni dell’Escuadrón Móvil Antidisturbios (Esmad) sparano perfino nelle case.

«Ai militari non importa nulla, né che siano bambini, né che siano anziani. Io vivo nel barrio Buga-Valle, le squadre della Esmad sono entrate e hanno iniziato a lanciare gas lacrimogeni, un bambino è morto», racconta Marco Hernandéz, 32 anni. «Il presidente ha già ritirato la riforma fiscale, ma non basta, il governo non mantiene le promesse da molto prima. Devono ritirare anche la riforma sulla salute e interrompere l’abuso di potere della polizia: chiediamo le dimissioni del ministro delle Difesa, fino a quelle di Duque», spiega.

Perché si manifesta

Il 28 aprile, la Colombia si è fermata con un «paro nacionál», uno scioepro nazionale. Gli scontri con le forze dell’ordine si sono verificati già nel primo giorno di manifestazioni, in particolare nelle principali città, Cali e Bogotà. Il presidente Duque ha imposto il coprifuoco dopo le 18 e dichiarato lo stato di emergenza nazionale, che conferisce al presidente poteri speciali per vietare manifestazioni pubbliche e il controllo sui mass media.

Sono centinaia di migliaia, infatti, i video che mostrano in diretta sui social network la violenza messa in atto dall’Esmad, il dipartimento della polizia specializzato nell’attività anti-somossa. A oggi, i profili Instagram più attivi nell’organizzazione delle manifestazioni sono stati censurati, insieme a molti degli hashtag creati dagli utenti. Inoltre, è stato limitato l’accesso a internet.Motivo della ribellione è stata una riforma fiscale presentata al Congresso da Duque, chiamata dal governo «legge di solidarietà sostenibile». Le proteste hanno costretto il presidente a ritirarla, il 2 maggio, e il ministro delle Finanze, Alberto Carrasquilla, a dimettersi il giorno seguente.

Si trattava di un documento di 110 pagine, in cui erano contenuti i quattro obiettivi principali della riforma: ampliare la base di riscossione delle imposte, evitare che il debito della Colombia perda altri punti nella valutazione del rischio internazionale, istituzionalizzare il reddito di base e creare un fondo per la conservazione dell’ambiente.

L’idea del governo era di raccogliere 23mila miliardi di pesos colombiani aggiuntivi, circa 6,3 miliardi di dollari. Ma da dove? Il 73 per cento delle entrate sarebbe dovuto arrivare dai cittadini, il resto dalle aziende. Il punto cruciale era infatti la riscossione di un’imposta sul reddito dei lavoratori che guadagnano un salario mensile di più di 663 dollari, in un paese dove il salario minimo è di 234 dollari. Inoltre, la legge proponeva di imporre l’Iva, che in Colombia raggiunge il 19 per cento, anche sui prodotti di prima necessità e servizi: acqua, elettricità e gas. Nonostante il disegno di legge della riforma fiscale sia stato ritirato, però, le proteste continuano e il governo ha militarizzato il paese. Il presidente ha proposto anche una riforma nel campo della salute, che aumenterebbe la privatizzazione del sistema sanitario. Attualmente, le condizioni di lavoro dei medici sono già gravi, molti sono stremati dall’avanzare della pandemia.

In Colombia, infatti, come in tutti i paesi dell’America Latina, il Covid-19 si diffonde rapidamente e il sistema sanitario è al collasso.

Un malcontento storico

«Il governo ci uccide più del virus», è lo slogan lanciato dai dimostranti, per dire che non sarà la pandemia a fermare le proteste. Le recenti riforme proposte dal governo, infatti, sono soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Più in profondità, c’è un malcontento nei confronti della gestione politica e del potere che arriva da lontano.

Le proteste contro il presidente Duque sono iniziate infatti già nel 2018. Allora erano guidate dai movimenti studenteschi ed erano sostenute da sindacati, indigeni e attivisti del movimento Lbtq. Non è la prima volta, dunque, che la Colombia si ferma con uno sciopero nazionale. A settembre 2018, il Congresso nazionale ha pubblicato il bilancio generale per il 2019.

Al settore dell’educazione sono stati assegnati 41,4 miliardi di dollari, una cifra insufficiente per sostenere in maniera adeguata le università pubbliche colombiane: sarebbero stati necessari 500 miliardi di dollari solo per chiudere in parità il 2018. Oltre a questa cifra, gli studenti chiedevano al governo di concordare un piano di rientro a lungo termine per coprire il deficit storico di 15mila miliardi di pesos.

Anche in questo caso, la polizia e l’Esmad hanno represso le proteste con metodi violenti.

Nell’anno seguente, il 2019, si era arrivati a un nuovo «paro» per denunciare la violazione dei diritti umani e chiedere lo smantellamento degli squadroni della morte dell’Esmad. Alvaro Uribe, senatore ed ex presidente, in quell’occasione aveva pubblicato un tweet in cui esortava la polizia a usare le armi contro i civili durante le proteste.

Ancora oggi, che la violenza del governo colombiano ha raggiunto l’attenzione della comunità internazionale, la sola risposta che il presidente riesce a dare al suo popolo sembra essere la repressione, ma i cittadini continuano a scendere in strada a migliaia ogni giorno e – dicono – non arretreranno finché Duque non lascerà il governo.

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