In Polonia succedono cose mai viste prima, e non solo perché le manifestazioni per il diritto all’aborto sono così fuori dall’ordinario in termini di partecipazione da costituire la più ampia manifestazione di dissenso nel paese dalla caduta del comunismo.

Inedita è pure la presa di posizione di esponenti di rilievo di polizia, esercito, forze dell’ordine nel loro complesso. Scoperchiano e rinnegano la linea del governo: rivelano le richieste di “linea dura” contro le donne ricevute da Jaroslaw Kaczynski, vicepremier e influente leader del PiS, il partito ultracattolico di governo. E fanno arrivare messaggi di resistenza e opposizione al mandato ricevuto.

«Siate equilibrati, proteggete i più deboli», avrebbe detto, a dispetto della linea di governo, il capo della polizia Jaroslaw Szymczyk, che lascerà l’incarico forse proprio oggi (la notizia filtra al giornale Gazeta Wyborcza). Se persino generali e capi della polizia sconfessano la linea del PiS e fanno trapelare il dissenso, allora il segnale è chiaro: con la sua crociata antiabortista, Kaczynski, che voleva polarizzare lo scontro e ricompattare così una maggioranza in crisi, ha finito per mettersi nell’angolo da solo.

L’appello dei generali

Il primo avvertimento al governo è arrivato dagli esponenti delle forze dell’ordine già in pensione, più liberi di esternare preoccupazioni. Il 1 novembre, quando le proteste erano in corso da giorni, generali e ammiragli a riposo hanno vergato un appello.

«Siamo preoccupati per gli sviluppi della situazione nel paese», scrivono. «L’inasprimento del divieto di aborto ha sollecitato l’opposizione della società civile, che protesta in massa. Se i politici continuano a fomentare queste azioni e si comportano irresponsabilmente, se c’è escalation, temiamo tragedie».

A cosa si riferiscono i firmatari? All’epoca non erano ancora emersi i dettagli sulla “linea dura” che Kaczynski pretendeva dalle forze dell’ordine, ma era già palese la sua strategia: il 28 ottobre, a fronte del montare del dissenso, aveva sostenuto che «le proteste vogliono distruggere la nazione» invitando a difenderla «in ogni modo».

Un’uscita letta come dichiarazione di guerra, e infatti diversi gruppi neofascisti subito dopo hanno annunciato di voler «ridurre in polvere attiviste e proteste».

Krzystof Bondaryk, tra i firmatari, fa sapere che «la voce di noi generali è necessaria in una situazione sociale così tesa, non dobbiamo prender parte alla disputa né attaccare le donne». Il monito è: evitare il conflitto e l’assalto contro le attiviste.

La linea repressiva e il dissenso

Le rivelazioni sugli ordini di reprimere le proteste da parte del governo sono venute a galla pian piano negli ultimi giorni, e filtrano proprio perché tra le forze dell’ordine e nello stesso PiS matura il dissenso.

I fatti. Il 25 ottobre è la prima domenica dopo la sentenza della Corte, le proteste crescono. Kaczynski, che a seguito delle tensioni interne alla coalizione di governo e al rimpasto di questo autunno ora è vicepremier e sovrintende pure Difesa, Interni e Giustizia, invoca la linea dura. Secondo queste indicazioni, gli agenti devono considerare le proteste illegali e disperderle con “grandi azioni di polizia”.

La fronda più dura del PiS invoca cannoni ad acqua sulla folla. Il capo della polizia Jaroslaw Szymczyk non asseconda però del tutto la linea: dà ordine di agire in modo equilibrato. Come lui stesso dice alla radio, «finora abbiamo arrestato 80 persone per comportamenti aggressivi, ma gli assembramenti in più di cinque persone durante la pandemia sono un reato e non un crimine, quindi non siamo autorizzati a trattenere i manifestanti».

Da fine ottobre, cresce il pressing politico sul capo della polizia reticente, a lui viene chiesto di agire in modo più deciso contro chi protesta, tanto che Szymczyk valuta di mettere sul tavolo le proprie dimissioni perché non vuole assecondare le pressioni.

Nel frattempo nella stessa polizia cresce la contrarietà verso la linea dura di Kaczynski: alcuni poliziotti raccontano fuori microfono a Gazeta Wyborcza di aver considerato di mettersi in malattia per protesta; ma hanno scartato l’opzione perché non sanno chi verrebbe mandato al loro posto «contro le donne».

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