In Ucraina la Russia sta trasformando i giornalisti in bersagli di guerra

Dodici colpi di mitragliatore in cielo, poi il boato del drone russo che esplode al suolo dopo essere stato abbattuto. Puntava verso una chiesa a Kostiantynivka - nel Donetsk - mentre all'interno una troupe di giornalisti olandesi stava filmando la distruzione dell'edificio e della città, pesantemente sotto attacco russo. Il video è stato girato dall'addetto stampa della 24esima Brigata Meccanizzata Separata, che accompagnava la troupe, e che ha sparato al drone fino a neutralizzarlo. Il lavoro dei giornalisti al fronte – in Ucraina come in ogni altro scenario di guerra – comporta rischi e pericoli a ogni angolo. Nelle ultime settimane la Russia sta però intensificando gli attacchi deliberati contro chi documenta la guerra lungo la linea dei combattimenti, tra droni a fibra ottica, colpi di artiglieria e FVP modificati per essere più precisi e più letali. E raccontare cosa succede sta diventando per troupe, freelance e fotografi sempre più pericoloso. Zelensky sotto assedio per lo scandalo corruzione: la freddezza dell’Europa Escalation anti stampa «Il nostro monitoraggio mostra non solo continuità, ma un’escalation netta e molto specifica nelle ultime settimane. A fine ottobre, inizio novembre 2025, l’IMI ha documentato 858 crimini commessi dalla Russia contro giornalisti e media dall’inizio dell’invasione su larga scala», riferisce a Domani Oksana Romaniuk, direttrice dell'Institute of Mass Information, organizzazione indipendente che dal 1996 monitora la libertà di stampa e il lavoro dei giornalisti in Ucraina. Sono 116 i giornalisti e operatori dei media uccisi da febbraio del 2022. «Solo tra settembre e ottobre 2025, l’IMI ha registrato almeno tre operatori dei media uccisi mentre lavoravano sul campo», dice Romaniuk. Il 3 ottobre il fotografo francese Antoni Lallican è stato ucciso da un drone FVP russo mentre si trovava vicino alla città di Druzhkivka, insieme all'amico e collega Heorhii Ivanchenko. Il fotografo ucraino ha subìto l'amputazione di una gamba. Mosca martella l’Ucraina, Zelensky è azzoppato e Putin ne approfitta Il 23 ottobre un drone russo Lancet ha colpito l'auto della troupe di Freedom Tv, mentre era a una stazione di rifornimento a Kramatorsk nel Donetsk. La giornalista ucraina Alyona Hramova e il cameraman ucraino Yevhen Karamazin sono stati uccisi nell'attacco. Erano arrivati sul posto per documentare un precedente attacco russo sulla stazione di servizio. Insieme a loro il collega Oleksandr Kolychev, rimasto ferito. Per la direttrice dell'IMI si tratta di «attacchi mirati contro giornalisti chiaramente identificati e nuovi schemi di attacco con droni FPV/Lancet vicino alla linea del fronte e in località retrostanti dove le troupe erano contrassegnate ‘Press’ e non coinvolte in combattimento». Per la direttrice non ci sono dubbi su come definire attacchi di questo tipo e con queste modalità. «Dal punto di vista dell’IMI, questi episodi vengono documentati come crimini di guerra contro i giornalisti. Rientrano in un modello in cui le forze russe vedono le marcature “Press”, capiscono che si tratta di operatori dei media e attaccano comunque. O attaccano proprio perché sono operatori dei media», dice a Domani. In più nelle ultime settimane la Russia ha attaccato uffici di corrispondenza, come la redazione di Suspiline a Kherson, gli uffici di Kiev del giornale Gordon. Il 29 ottobre è stata colpita la torre televisiva a Chernihiv. A settembre è stata distrutta quella di Velykyi Burluk, nell'oblast di Kharkiv. «Parallelamente, cyberattacchi e operazioni di phishing contro testate ucraine (MykVisti, Nakypilo e altre) sincronizzati con la copertura dei bombardamenti russi. Dunque sì. Vediamo un picco misurabile e qualitativamente nuovo: meno rischi casuali, più prove di un targeting deliberato e di una pressione integrata», spiega a Domani la direttrice Romaniuk. Che inquadra una serie di motivazioni che possono spiegare il perché questi attacchi siano in aumento in questa fase della guerra. Dal controllo dei media ai deepfake: Orbán teme il voto e fa il turbo-illiberale «Ci sono diverse motivazioni, a mio avviso. La prima è silenziare la documentazione dei crimini di guerra e dei fallimenti. Le prove fotografiche e video indipendenti dal fronte alimentano direttamente le indagini internazionali, le sanzioni e le decisioni politiche. I giornalisti vengono attaccati nei luoghi colpiti contro civili, infrastrutture energetiche, chiese, mercati: tutti quei posti che la Russia non vuole vengano documentati professionalmente», spiega. Poi c'è la questione legata a come si sposta la linea del fronte, villaggio dopo villaggio. «In secondo luogo, probabilmente vogliono scoraggiare la copertura vicino ai fronti critici: gli attacchi FPV e Lancet contro la stampa contrassegnata nella zona di Druzhkivka, Kramatorsk e contro troupe straniere mandano un segnale: se vi avvicinate, diventate un bersaglio». E poi c'è una delegittimazione che viene alimentata dalla propaganda di Mosca. «In generale, nella visione del Cremlino, i giornalisti che lavorano con le forze ucraine o documentano l’aggressione russa sono considerati combattenti dell’informazione. Canali di propaganda li definiscono esplicitamente bersagli legittimi». La direttrice spiega anche come i soldati russi agiscano in questo modo consapevoli di non incorrere in responsabilità. «Dal 2014 in poi, ciò ha normalizzato il calcolo costi-benefici. Uccidere giornalisti funziona per loro perché c’è impunità», spiega. Quei “turisti cecchini” a Sarajevo. Fantasmi della guerra più sporca La memoria in salvo L'istituto è presente in ogni angolo del paese e fornisce supporto a giornalisti, con più di 6600 giubbotti antiproiettile distribuiti, caschi, tourniquet, maschere antigas. E anche generatori, powerbank, starlink e telefoni satellitari. Tutto quello che serve «per lavorare sotto bombardamenti e blackout», racconta. «Abbiamo 15 hub Mediabaza nelle città vicine alla linea del fronte: sono spazi sicuri di lavoro con elettricità e connessione; i giornalisti possono anche noleggiare gratuitamente equipaggiamento di sicurezza, giubbotti, caschi, kit di primo soccorso». Il ricordo della giornalista uccisa a Gaza: «Mariam era impavida, precisa e dolce. È morta per la verità» Forniscono anche consulenze legali in caso di detenzioni, micro grant e supporto psicologico. «Non è beneficenza: è infrastruttura per la verità in condizioni in cui la verità può farti uccidere. Se i giornalisti indipendenti lasciano il fronte, avremo meno prove verificate dei crimini di guerra. Le comunità locali perderanno voci affidabili che contrastano panico e falsità. I partner internazionali perderanno prove credibili necessarie per giustificare sanzioni, aiuti militari, tribunali e sostegno a lungo termine all’Ucraina. È per questo che la Russia cerca di spaventarli», spiega la direttrice. Vuol dire «niente Bucha, niente Mariupol, niente Kramatorsk nei filmati, e tra dieci anni la gente dirà che non possiamo davvero sapere cosa è accaduto». Un lavoro fondamentale: «I giornalisti al fronte non stanno solo raccontando storie. Stanno tenendo la linea del diritto e della memoria». Cosa sono i krill e perché la Russia arresta chi vuole la conservazione di questa specie Gli attacchi a giornalisti, operatori e fotografi in questo senso diventano quello che la direttrice Romaniuk definisce «un attacco a spettro completo al diritto di sapere». Con un sistema ben definito che punta a «eliminare fisicamente i testimoni, impersonarli o sabotarli digitalmente, poi sostenere che non siano mai stati veri giornalisti. Questa combinazione è progettata per convincere le persone in Russia e all’estero che non esista una verità affidabile ma solo “narrazioni concorrenti”». Il rischio è che così facendo qui in Ucraina – e in altri scenari – i fatti siano mischiati alla disinformazione. «Se tutto è narrazione, le atrocità sono più facili da ripetere: uccidere, disorientare, screditare, sovraccaricare».