Nella notte tra martedì e mercoledì l’India ha attaccato militarmente il Pakistan. Secondo Nuova Delhi, gli attacchi missilistici sarebbero stati «di precisione» contro presunti campi terroristici. Le città colpite sono Bahawalpur, Sialkot e Muridke, situate nel Punjab pakistano, e Kotli e Muzaffarabad, nella regione del Kashmir amministrata dal Pakistan. Il bilancio delle vittime è ancora provvisorio: sono almeno 38 i morti, tra cui una bambina di 3 anni. Nel giro di pochi minuti, l’esercito pakistano ha lanciato una controffensiva, colpendo cinque caccia militari indiani e un drone lungo il confine con il Kashmir amministrato dall’India e nel Punjab indiano. Il governo pakistano, guidato da Shehbaz Sharif, ha fatto sapere che le forze armate del paese sono state autorizzate ad intraprendere «azioni corrispondenti».

L’attacco arriva in risposta all’attentato nel Kashmir indiano del 22 aprile. Appena i missili sono partiti, sul profilo X l’esercito indiano ha rivendicato l’operazione con l’hashtag «#PahalgamTerrorAttack, Justice is served», «la giustizia è servita».

Accuse e contro-accuse

Subito dopo l’attacco di Pahalgam l’India aveva accusato il Pakistan di aver dato sostegno agli attentatori senza mostrare delle prove. Islamabad, condannando l’attacco, aveva smentito le accuse e aveva chiesto che fossero condotte investigazioni trasparenti e imparziali. L’India non ha mai acconsentito.

Il ministero della Difesa indiano ha dichiarato nelle prime ore di mercoledì che le forze armate hanno lanciato l’Operazione Sindoor, colpendo presunte infrastrutture terroristiche in Pakistan e nel Kashmir occupato dal Pakistan, da dove secondo Nuova Delhi vengono pianificati e diretti attacchi terroristici contro l’India.

«Le nostre azioni sono state mirate, proporzionate e di natura non escalatoria», ha precisato il comunicato ufficiale indiano. «Non sono state prese di mira strutture militari pakistane. L’India ha dimostrato notevole moderazione nella selezione degli obiettivi e nel metodo di esecuzione».

Secondo quanto riportato dai giornali indiani, il primo ministro Narendra Modi avrebbe monitorato personalmente l’operazione per tutta la notte. Tra i bersagli principali figuravano i presunti quartier generali dei gruppi terroristici Jaish-e-Mohammed (JeM) a Bahawalpur e Lashkar-e-Taiba (LeT) a Muridke, entrambi nel Punjab pakistano. Un portavoce delle forze armate pakistane ha confermato alla Bbc che l’aeronautica indiana aveva effettivamente preso di mira queste due località. Nelle ore precedenti all’attacco da parte delle forze armate indiane, il ministro della Difesa pakistano Khwaja Asif aveva affermato che uno scontro con l’India «potrebbe iniziare in qualsiasi momento». Narendra Modi, nelle ore precedenti, aveva dichiarato che «anche le acque che passano attraverso il territorio indiano sarebbero state fermate».

Pur non menzionando direttamente il Pakistan, il suo discorso arriva dopo la sospensione unilaterale da parte di New Delhi del Trattato delle Acque dell’Indo, che regolava il passaggio delle acque del fiume tra i due paesi. Il fiume Indo rappresenta la linfa vitale del Pakistan: secondo i dati del WWF Pakistan, da esso dipenderebbe l’80 per cento dell’agricoltura del Paese.

Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso «grande preoccupazione» per le operazioni militari indiane, invocando la «massima moderazione militare» e sottolineando che «il mondo non può permettersi un confronto militare tra India e Pakistan». Gli Stati Uniti hanno esortato entrambi i paesi a trovare una «soluzione responsabile». Dopo gli attacchi, l’India ha informato i funzionari statunitensi, con colloqui tra il Consigliere per la sicurezza Nazionale indiano Ajit Doval e il segretario di Stato americano Marco Rubio.

La mediazione

L’Iran si è offerto di mediare tra le due nazioni e il ministro degli Esteri iraniano ha visitato sia Islamabad che Delhi, diventando il primo diplomatico straniero di alto livello a visitare entrambi i paesi dopo l’attacco del 22 aprile. Anche la Cina si è detta disponibile a «svolgere un ruolo costruttivo» per allentare le tensioni, ma è chiaro che Islamabad continuerà ad avere il sostegno del suo grande vicino. All’inizio della settimana l’ambasciatore cinese Jiang Zaidong ha incontrato il presidente Asif Ali Zardari per ribadire che i due paesi sono «fratelli di ferro».

Le tensioni tra India e Pakistan, ambedue potenze nucleari, fanno temere un’ulteriore escalation in una regione già caratterizzata da decenni di conflitto e instabilità.

Le dichiarazioni del leader del BJP Kavinder Gupta hanno ulteriormente aggravato la situazione diplomatica: «Il Pakistan non sopravviverà a lungo. Sarà diviso in diverse parti e cancellato dalla mappa del mondo».

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