Quando si va a far la spesa può capitare di guardare le caratteristiche dei vari pacchi di pasta disponibili. Ogni tanto, in basso sul retro, c’è una scritta che dice “grano Arizona”.

Si tratta di una particolare varietà di frumento che prende il nome dallo stato americano e viene utilizzato per produrre appunto la pasta di grano duro. Anche se non sempre si coltiva sul suolo americano, in prevalenza proviene da lì.

Alcune analisi hanno evidenziato la possibilità che gli agricoltori americani possano trarre un inaspettato beneficio dalla crisi ucraina, diventando ancora di più una superpotenza a livello di produzione di cereali.

Ci sono però molte variabili in ballo che di fatto minano una potenziale abbondanza per un settore che negli ultimi anni è stato indebolito dai cambiamenti climatici e dagli eventi eccezionali come alluvioni e siccità.

I costi dei fertilizzanti

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Una di queste è il fertilizzante: la Russia e la Bielorussia, insieme, secondo il The Fertilizer Institute, controllano il 40 per cento della produzione globale di sale di potassio, un componente base utilizzato nei concimi chimici.

La crescita del prezzo dei fertilizzanti non è nuova: già lo scorso anno il prezzo di alcuni è triplicato o addirittura quadruplicato, per una serie di ragioni come appunto il meteo, le difficoltà tecniche degli stabilimenti produttivi e anche ovviamente le interruzioni di rifornimenti legate alle restrizioni del Covid presenti in alcuni paesi.

In teoria ciò non dovrebbe impattare gli Stati Uniti in particolare, avendo in Canada un fornitore alternativo di sali di potassio. Quello che sta già colpendo il settore, invece, sono gli aumenti del costo del gas e del petrolio, che servono sia a muovere le macchine agricole che a produrre i tanto necessari concimi chimici.

Poco prima della guerra la Cina ha lanciato un’aggressiva campagna di acquisto del frumento e ha rimosso ogni restrizione all’importazione del grano russo, proibito dagli Stati Uniti dopo la decisione del presidente Joe Biden lo scorso 11 marzo.

Inoltre, gli speculatori hanno fatto incetta dei futures legati ai contratti di vendita del frumento, facendo salire i prezzi del 54 per cento in soli nove giorni di contrattazione, secondo i dati della borsa agraria di Chicago.

Problemi di raccolto

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Il mondo politico si è messo in allerta. Il segretario all’agricoltura Tom Vilsack lo scorso 14 maggio ha partecipato a un meeting virtuale collegato con il ministro ucraino all’agricoltura Roman Leshchenko, dichiarando che al momento non bisogna fare «affermazioni allarmistiche» dato che nel territorio ucraino la semina è andata avanti come previsto, ma che il paese aggredito ha bisogno «di carburante aggiuntivo» per portare a termine la mietitura.

Ci sarebbe da trovare una soluzione alternativa al trasporto, dato che il mar Nero al momento è in mano russa, ma questo è un problema a cui pensare dopo maggio. Non si sa se la guerra possa finire ed è un dilemma che colpisce anche i coltivatori stessi.

Da un lato sette organizzazioni lobbistiche legate all’agrobusiness hanno scritto una lettera a Vilsack il 24 maggio chiedendo di coltivare grano, soia e girasoli anche nei terreni federali protetti senza pagare penali per far fronte alla scarsità di forniture dall’Ucraina, dall’altro l’economista agrario dell’università dell’Illinois, Scott Irwin, ha messo in guardia dal prendere decisioni avventate: «Gli agricoltori potrebbero ritrovarsi con un raccolto sovrabbondante e poco redditizio», ha dichiarato in un’intervista televisiva alla Cnbc.

Del resto, rispetto al 2008, la produzione di frumento è calata del 35 per cento. Da allora molti agricoltori si sono spostati sulla più redditizia produzione di soia, spinta dalla crescita della dieta vegetariana e dalla maggiore resa dei raccolti, bisognosi di molto meno fertilizzante.

La conferma di questo fenomeno arriva anche dagli studi dell’International Food Policy Research Institute, un think tank specializzato in politiche agricole: nel 2022 poco meno di 37 milioni di ettari saranno coltivati a soia negli Stati Uniti, un record storico. A compensare le carenze saranno le derrate provenienti da Canada, Argentina, Australia e persino il Kazakistan.

La campagna cinese

Non solo, a dare una mano agli Stati Uniti a sorpresa è la Cina. Secondo un scoop dell’agenzia Bloomberg la Cina avrebbe accelerato gli acquisti di soia e di mais statunitense a inizio marzo e una conferma ufficiale a questo è arrivato dalle dichiarazioni insospettabilmente benevole dell’ambasciatore cinese a Washington Qin Gang alla tavola rotonda Cina-Usa del 14 marzo.

Qin ha affermato che la cooperazione tra le due nazioni è «radicata in un solido pragmatismo» e «una rinnovata cooperazione» tra le due nazioni «sarebbe un win-win» per un paese importatore come la Cina contrapposto a uno esportatore come gli Stati Uniti, una cooperazione che è stata caldeggiata anche dall’American Farm Bureau Federation, la principale lobby agraria del paese, che ha chiesto di rafforzare il libero scambio con Pechino.

Confermando che il settore agricolo statunitense, nonostante anni di retorica protezionista bipartisan, rimane solidamente liberoscambista come da antica tradizione.

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