La guerra fredda (canora) dell’Eurovision russo, che va dal Vietnam alla Bielorussia

Domenica notte è andata in onda l’operazione musicale speciale del Cremlino. Alla Live Arena, nella periferia di Mosca, la Federazione ha organizzato l’Intervision, un concorso che fa letteralmente il controcanto all’Eurovision, il festival canoro internazionale che aveva deciso di escludere i cantanti russi dalla competizione in seguito all’inizio della guerra in Ucraina nel 2022. Intervision non è del tutto inventato: il concorso era già stato indetto quasi mezzo secolo fa e per le medesime ragioni. Negli anni Sessanta, durante la Guerra fredda, veniva organizzato a Praga. Poi è stato soppresso negli anni in cui venivano represse le proteste di piazza in varie capitali dell’Europa dell’est che cominciavano a ribellarsi al potere di Mosca. Da sempre è stato immaginato come contraltare dell’occidentale Eurovision, nato nel 1956. L’ultimo Intervidenie (questo il nome russo) è stato visto dal bastione socialista orientale nel 1980, quando il Muro di Berlino era ancora in piedi: a dissotterrarlo dall’era sovietica è stato, a febbraio scorso, Vladimir Putin con un decreto. Un nuovo emisfero Questo Intervision 2025 non è stato però il festival del blocco est, ma di un nuovo emisfero: quello nato dall’asse geopolitico vicino alle istanze della odierna Mosca. Tra i 23 paesi partecipanti, non solo, come da tradizione, le ex repubbliche sovietiche (dalla Bielorussia al Kazakistan), ma anche i giganti asiatici, africani e latinoamericani. Cina, India, Brasile, Sudafrica. Ad aprire le danze è stato proprio il presidente russo con un messaggio preregistrato e l’immancabile tricolore alle spalle: ha omaggiato «il dialogo, il rispetto reciproco e il rafforzamento della fiducia tra le culture». Performance e messinscena non sono state poi così diverse da quelle del festival rivale degli occidentali: stesso glitter, stessi flash di luce abbacinanti, stesse scintille e stessa tendenza alla scenografia gargantuesca che si vede ogni anno all’Eurovision. Le bandiere c’erano quasi tutte, tranne quelle arcobaleno, bandite per legge da Mosca. Mancava anche l’inglese come idioma comune (ogni concorrente si è esibito in lingua madre) e bizzarra è risultata la conduzione: ad alternarsi ai microfoni un presentatore russo, uno cinese e una indiana. Tutti aspettavano l’unica cantante occidentale, l’australiana Vassy, che ha lasciato il palco vuoto: non ha potuto partecipare «per ragioni indipendenti dagli organizzatori e dalla delegazione degli Stati Uniti, causate da una pressione politica senza precedenti da parte del governo australiano», riferisce la Tass. A rappresentare la Russia il più nazionalista di tutti, Shaman, che ha optato per l’auto-esclusione e ha chiesto alla giuria di tenerlo fuori dalla lista dei vincitori: «Rappresento la Russia e la Russia ha già vinto perché siete tutti qui con noi oggi». Durante la canzone cinese viene infilato un elogio al regime di esenzione visti appena entrato in vigore tra Cina e Russia. Poi alla fine, ha vinto il Vietnam. Anzi, il rappresentante della Repubblica socialista del Vietnam: Duc Fuc, che da un’impalcatura imponente montata davanti a un’enorme eclissi, ha cantato così bene da aggiudicarsi il premio di 30 milioni di rubli, circa 360mila dollari. Il cantore di guerra del Cremlino: la musica pop di Shaman a sostegno dell’invasione dell’Ucraina «Far conoscere la Russia» L’Intervision il prossimo anno torna, ma verrà organizzato in Arabia Saudita. Il gran finale è stato il coro: tutti gli artisti insieme hanno intonato A million Voices, canzone della famosa popstar russa Polina Gagarina, un brano che ricorda tanto ai detrattori la canzone We Are the World, “noi siamo il mondo”. E in effetti, il mondo lo sono: gli artisti dell’Intervision rappresentavano tra i paesi più popolosi della terra, che ora se la cantano e se la suonano da soli. Lo scopo del festival non era fare politica con note, spartiti e ballerini. O almeno era questo quello che aveva assicurato la ministra della Cultura russa Olga Lyubimova, ma è stata un’affermazione à la russe perché la vera star della serata era in platea: tra il pubblico c’era pure Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo. Per lui l’Intervision è «un evento meraviglioso che riunisce tutti coloro che vogliono rimanere aggiornati e stare al passo con gli sviluppi dell’arte multinazionale e transcontinentale». E serve «a far conoscere la Russia». Alla fine di questo Sanremo per avversari geopolitici dell’Occidente, il capo della diplomazia del Cremlino al primo canale russo ha reso noto – con lo stesso lessico che usano nei dicasteri per le operazioni militari o elezioni politiche – che ci sono stati «seri tentativi di influenzare alcuni partecipanti e di interrompere la gara, ma non hanno avuto successo». Risate contro la repressione: così i comici russi resistono