Un diplomatico per Gaza: tutte le carte di Meloni per fare affari nella Striscia

Giorgia Meloni non perde tempo. Troppo alto il rischio di arrivare ultimi nella gara per la ricostruzione della Striscia di Gaza. Il gap da colmare rispetto agli altri paesi è già grande in partenza e quindi meglio attivarsi il prima possibile. E così, a meno di 24 ore di tempo dal summit di Sharm el Sheikh il nome scelto per guidare la nuova sfida del governo italiano era già pronto. Bruno Archi sarà l’inviato speciale italiano per Gaza. Lo ha ufficializzato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, alla Camera. La scelta La scelta del governo è ricaduta su un uomo di peso. Sebbene sia un berlusconiano, con un’esperienza da viceministro durante il governo di Enrico Letta e un passato da deputato nel gruppo di Forza Italia-Popolo delle Libertà, Archi rimane un diplomatico, racconta chi lo conosce bene. Dal carattere ruspante, chiaro e schietto, Archi «sarà il punto di riferimento alla Farnesina per questo tema cruciale, che farà da raccordo a livello tecnico alle istituzioni, amministrazioni locali, settore privato e società civile», ha detto Tajani. Serviva un uomo di fiducia che sa dove mettere le mani e Archi è uno di loro, con un curriculum che non ha bisogno di presentazioni. Tra i suoi incarichi anche un ruolo da consigliere diplomatico alla presidenza del Consiglio dei ministri e l’ultimo di Rappresentante d'Italia presso l’Onu a Roma. Un’esperienza che in oltre tre anni lo ha portato a conoscere bene il mondo del multilateralismo e a gestire relazioni con l’Onu e le sue agenzie, che manterranno comunque un ruolo centrale nel prossimo futuro della Striscia di Gaza. Senza contare che Archi è uno dei protagonisti del programma Food for Gaza, che ha consegnato oltre 2500 tonnellate di aiuti umanitari. Briciole rispetto alle necessità, ma si tratta di un’operazione complessa per via delle mediazioni con Tel Aviv. Raji Sourani: «A Gaza ora serve tutto. Ma prima di tutto serve giustizia» La scelta di Meloni, quindi, viene apprezzata anche dal Quirinale e manda un segnale chiaro: affidare la strategia italiana allo Stato e non al mondo politico. Ma la missione è difficile e dipenderà da una serie di fattori che esulano dal piccolo peso specifico italiano nella questione israelo-palestinese. Di sicuro a incidere sarà la copertura politica che la premier e i suoi alleati daranno ad Archi, al quale ha affidato il ruolo di inviato speciale. Una figura che può muoversi rapidamente e segue il trend oramai abusato anche dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che sugli inviati speciali sta fondando la sua politica estera: Steve Witkoff (per il Medio Oriente), Keith Kellog (per Russia e Ucraina) e Massad Boulos (per gli affari africani e arabi). Un altro fattore ha favorito la sua nomina: la mancanza di quadri dirigenti competenti all’interno della maggioranza di centrodestra. Un annoso problema per la premier, che ha la necessità di avere uomini che obbediscono all’autorità nonostante le divergenze. E i diplomatici sono il profilo perfetto. I nodi economici Sulla ricostruzione, appunto, si stanno già muovendo tutti. Emmanuel Macron ha già toccato il tema in una conferenza che ha organizzato prima del summit di Sharm el Sheikh e alla quale ha invitato decine di leader internazionali. Berlino è sulla stessa scia e punta a un grande evento nei prossimi mesi. Ma nessuno ha osato anticipare l’Egitto per evitare sgarbi diplomatici. E così il primo appuntamento di peso sulla questione si terrà il prossimo novembre. Già lì si capirà chi avrà la fetta più grande dei 70 miliardi sul piatto. Meloni spera che la fedeltà a Trump, esplicitata soprattutto nella posizione assunta sul riconoscimento della Palestina, venga ripagata. Sarà Washington a fare spazio all’Italia tra i grandi, rispetto ai quali lo svantaggio è la poca liquidità del Sistema Italia tanto decantato dalla premier. Un sistema però che è più un circoletto. Nonostante il know how, per questa fase iniziale dove servono imponenti quantità di denaro, le aziende sono sempre le stesse: Eni, Enel, We Build, Bonifiche Ferraresi e così via. Quelle che già guidano il Piano Mattei, che potrebbe avere rallentamenti se l’attenzione si sposterà verso Gaza. Una soluzione potrebbe essere la Joint venture come quella a guida americana per la realizzazione del Corridoio di Lobito in Africa. Gli occhi sono puntati sui soldi dei paesi arabi, sul ruolo che Trump vuole concedere all’Egitto e sulle prese di posizione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che conta su una classe imprenditoriale agguerrita. I fantasmi del Golfo, il ruolo di al-Sisi e le mosse di Meloni: gli interessi in gioco sul piano Trump La prima riunione Vista la fretta, ieri pomeriggio mezzo governo si è riunito per due ore con l’obiettivo di tirare giù una strategia efficace che punta sulla ricostruzione di ospedali e sull’apporto umanitario. La formazione dei ministri scelta è simile a quella di battaglia del Piano Mattei, e quindi c’erano, tra gli altri, i titolari dell’Agricoltura, Università e Salute. Non è un caso, infatti, che fosse presente anche Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico della premier nonché capo della cabina di regia del Piano Mattei. Ma tra Archi e Saggio a fare la differenza oltre l’esperienza è il carattere, con il secondo abituato a dosare le parole e a lavorare in un contesto diplomatico meno ostile rispetto a quello mediorientale. Resta da capire se l’accordo tra Hamas e Israele rispetterà le aspettative e se il cessate il fuoco durerà anche dopo la riconsegna di tutti i corpi degli ostaggi. Dipenderà molto anche dagli scossoni politici.