Con l’offensiva israeliana la Cina rischia di perdere un alleato prezioso, proprio mentre negozia sul commercio. Ecco perché non riesce ad avere un vero ruolo nella crisi
Col protrarsi dell’offensiva israeliana, la Cina rischia di perdere un regime amico assurto a potenza regionale, quello degli ayatollah che governano l’Iran dal 1979, ammesso nel 2023 nella Shanghai Cooperation Organization e l’anno scorso nei Brics. Xi Jinping ha utilizzato una telefonata con Vladimir Putin – di cui ha appoggiato la candidatura a “mediatore mediorientale” – per sottolineare che «i grandi paesi che hanno un’influenza speciale sulle parti coinvolte dovrebbero sforzarsi di ridurre l’escalation, non il contrario».
Tradotto: gli Usa fermino Israele. Secondo il presidente cinese «il pericolosissimo attacco israeliano sulle installazioni nucleari iraniane prova ancora una volta che il mondo è entrato in un periodo del tutto nuovo di turbolenza e cambiamenti».
Doppia sfida
Il Medio Oriente in fiamme pone allo sviluppo socioeconomico della Cina una doppia sfida. Da un lato il caos regionale. Teheran – che con Pechino ha una “partnership strategica” – minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa il greggio che dal Golfo Persico va a soddisfare la sete di energia della Cina. Dall’altro non inasprire ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti, che restano prioritari: mentre Teheran e Tel Aviv si danno battaglia con missili e bombe, Pechino continua la complessa trattativa sul commercio con Washington.
Dall’Iran la Cina acquista il greggio sotto sanzioni internazionali. Nel 2024, tra i due paesi si è registrato un commercio bilaterale di 13,3 miliardi di dollari. Da un punto di vista economico, l’Iran è un paese poco rilevante per la Cina, basti pensare che l’anno scorso l’interscambio di quest’ultima con la Russia è stato di 20 volte superiore (245 miliardi di dollari).
Secondo il think tank britannico Asia House, nel 2027 il commercio della Cina con i paesi del Golfo supererà quello con i paesi occidentali. Ma ultimamente gli interessi della Cina in paesi come Egitto, Arabia Saudita, e altri sono cresciuti molto più che in Iran. A unire Teheran e Pechino (e Mosca) è la visione del “mondo multipolare”, utilizzata per erodere il potere degli Stati Uniti.
La crisi iraniana, fino all’attacco di Israele, ha rappresentato per Pechino un’opportunità per bissare il successo diplomatico del 10 marzo 2023, quando Iran e Arabia Saudita riallacciarono ufficialmente le relazioni diplomatiche sotto l’egida cinese. La Cina ha sempre sostenuto il Piano d’azione congiunto globale (Jcpoa) del 2015, negoziato tra tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che impone a Teheran una serie di limiti al suo programma nucleare.
E ha criticato il ritiro degli Stati Uniti dal patto l’8 maggio 2018 (durante la prima amministrazione Trump), opponendosi anche alle sanzioni americane contro l’Iran. Infine, il 12 giugno scorso, ha votato contro la risoluzione dell’Aiea che ha giudicato l’Iran inadempiente rispetto agli obblighi di non proliferazione atomica.
Addio alle alleanze
Ma, di fronte all’azzardo di Israele, ciò che impedisce a Pechino di giocare un ruolo di primo piano è la natura stessa della sua diplomazia, priva di vere e proprie alleanze e improntata al realismo assoluto. In quest’ottica, nell’attesa che il “mondo multipolare” palesi nuovi equilibri e istituzioni in grado di soppiantare il Washington Consensus, per Pechino è tuttora prioritario il rapporto bilaterale con gli Stati Uniti, la super potenza che, seppure in declino, i cinesi rispettano e temono.
E, dal momento che gli Usa sono i soli a poter fermare l’escalation di Netanyahu, Pechino attende le mosse di Trump, e si prepara a continuare business as usual con Tehran, ma anche alla caduta degli ayatollah.
In definitiva, questa ennesima crisi mettere a nudo i limiti del non-blocco che i conservatori a Washington chiamano “asse delle dittature” (Russia-Cina-Iran-Corea del Nord). Paesi con visioni strategiche differenti, tenuti precariamente assieme – dai tempi di Euro Maidan e delle Primavere arabe – dalla promozione del principio di “sovranità”, dal timore del cambio di regime favorito dall’esterno. Che tuttavia rimane in agguato.
E così dall’attacco all’Iran la Cina trae la conferma che l’unica vera garanzia contro le interferenze straniere è un riarmo a tappe forzate. Non a caso la settimana scorsa la tv di stato ha per la prima volta rivelato i dettagli di missili atomici cinesi (i DF-5): per avvertire gli Usa che quelli ormai appartengono al passato e che è pronta a difendersi con nuovi, più letali vettori nucleari.
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