Nelle ultime settimane la Russia sta intensificando gli attacchi con armi di diversi modelli. Protagonisti sono gli Shahed iraniani (difficili da intercettare e da distruggere), che Mosca produce anche nel suo territorio, mentre l’instabilità del Medio Oriente rende il quadro più complicato
Il ronzio dei droni che scendono di quota puntando su Podil, sul distretto Shevchenko, su Solomianskyi e su altre aree del centro di Kiev si mischia ai boati della contraerea in azione, nel silenzio del coprifuoco notturno. L’attacco nella notte tra il 22 e il 23 giugno è il quarto attacco massiccio sulla capitale ucraina nel mese di giugno, con 352 droni – di cui 159 Shahed – e 16 missili su tutta l’Ucraina in una sola notte. Dieci le vittime. Mentre nella notte tra sabato 28 e domenica 29, centinaia di droni e missili sono caduti su diverse città ucraine, tra cui Leopoli e Zaporizhzhia: tra questi, ha scritto il presidente Volodymyr Zelensky, la maggior parte erano droni Shehad russo-iraniani.
Nelle ultime settimane Mosca sta intensificando progressivamente le sortite aeree, colpendo indiscriminatamente città diverse ogni giorno, con un impiego sempre più massiccio – nei numeri e nei diversi modelli e varianti di droni. Gli Shahed di fabbricazione iraniana e quelli di fabbricazione propria – la variante Geran –modificando e sviluppando nuove versioni di questa tipologia di arma per renderla più difficile da intercettare e da distruggere.
Il presidente Volodymyr Zelensky in un discorso dai Paesi Bassi ha detto che dal febbraio del 2022 sull’Ucraina sono stati lanciati più di 28mila droni. Di questi, 2.736 soltanto nei primi 24 giorni del mese di giugno. Quasi il 10 percento del totale in poco più di tre settimane. Droni che – confermano fonti militari da Odessa – volano sempre più in alto, e in maniera sempre diversa.
Per eludere i sistemi di difesa – in particolare le centinaia di unità mobili che sparano con i mitragliatori Maxim – e per creare una nuova strategia di terrore nella popolazione civile. E al fronte oltre al massiccio impiego di droni FVP e droni kamikaze “Molniya” – da Toretsk a Kostyantynivka – si registra un nuovo utilizzo anche per gli Shahed.
Sempre più avanzati
«Le forze russe stanno utilizzando sempre più spesso i droni Shahed per colpire obiettivi lungo la linea del fronte, un nuovo adattamento», racconta da Washington a Domani l’analista dell’Institute for the Study of War Kateryna Stepanenko. «In precedenza i russi impiegavano gli Shahed solo per attacchi in profondità nelle retrovie», aggiunge.
E quando li abbattono, gli ucraini trovano tra i resti tecnologie sempre più avanzate tra i rottami. Il 24 giugno i servizi di intelligence ucraini HUR hanno confermato una analisi tecnica su un drone russo che ha alcune componenti mai riscontrate prima. Una scheda madre Nvidia Jetson che integra anche funzioni di intelligenza artificiale e che sarebbero in grado di far volare il drone anche senza segnale Gps, una nuova antenna e anche un nuovo sistema di trasmissione video.
«Queste capacità rendono alcuni droni Shahed meno vulnerabili alle interferenze della guerra elettronica, poiché si affidano alla visione artificiale per la navigazione», commenta l’analista dell’Isw a Domani. «La resistenza alle contromisure elettroniche rende più difficile, per le forze ucraine, respingere attacchi di droni su larga scala», continua. E le nuove integrazioni con l’Ia in sostanza «permettono ai droni di agganciare autonomamente il bersaglio».
Tra Mosca e Teheran
Droni che – nel loro modello iniziale – sono armi di fabbricazione iraniana. Per alcune componenti è ancora così, i due paesi collaborano in maniera estesa a livello militare dal 1989, l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina ha però invertito il flusso di armi e tecnologie.
Non più da Mosca verso Teheran ma la rotta inversa, e gli “Shahed-136” sono diventati l’arma alla quale la Russia non è disposta a rinunciare. Al punto che da novembre del 2022 Mosca ha deciso di farseli da sola, chiudendo un accordo da 1,7 miliardi di dollari con la azienda iraniana Sahara Tunder per il trasferimento di componenti, tecnologie, codici e formazione.
La Russia quindi fabbrica i propri Shahed – che hanno chiamato Geran – in Tatarstan, nella fabbrica di Alabuga. Il costo di produzione è di circa 50mila dollari per drone, un’arma decisamente a basso costo se paragonata a missili come l’Iskander-M che costano circa due milioni di dollari l’uno.
Gli Shahed di produzione russa hanno sopra la lettera K, come spiegano fonti del Kyiv Scientific Research Institute of Forensic Expertise, istituto che analizza missili e droni che che arrivano dalla Russia sull’Ucraina.
A ottobre in laboratorio avevano rimontato su una parete il sistema di funzionamento di uno Shahed – collegando circuiti e componenti – e simulandone l’accensione. Teheran rimane comunque un attore in questo scenario, una variabile che si inserisce nel contesto di totale instabilità che attraversa tutto il Medio Oriente.
UcrainaL’impatto dell’instabilità
Per il comandante dell’intelligence militare estone Ants Kiviselg «alcuni nodi critici per la produzione di questi droni continuano a provenire dall’Iran» e questo porterebbe a una limitazione nell’utilizzo di droni da parte di Mosca nel prossimo futuro. Anche da Londra è arrivato un commento sulla questione, il ministero della Difesa ha definito «probabile» una diminuzione di forniture dall’Iran alla Russia.
Di sicuro l’Iran sta utilizzando droni anche nello scenario attuale. L’esercito israeliano ha riferito di circa 500 missili balistici e più di 1.000 droni lanciati contro Israele durante l’operazione “True Promise III”. Shahed-136, Arash-2 e Shahed-101 con gittate avanzate sono tra quelli riscontrati dall’Iran Update Special Report dell’ISW. Gli effetti sullo scenario ucraino devono tenere conto di altri numeri.
«L’instabilità in Medio Oriente non ha avuto un impatto significativo sulla produzione dei droni Shahed», afferma l’analista Stepanenko a Domani. Perché la Russia «ha ridotto la dipendenza dalle importazioni dall’Iran» avviando gran parte della produzione ad Alabuga. In più «per aumentare i volumi produttivi, Mosca si affida sempre più spesso a componenti cinesi, come i motori, impiegati nei droni Shahed», sostiene l’analista da Washington.
«La Russia è ancora in grado di procurarsi componenti per droni attraverso paesi terzi, come Bielorussia, Cina e alcune nazioni dell’Asia centrale», sostiene. Sottolineando come «le sanzioni hanno colpito la base industriale della difesa russa in settori come la produzione aeronautica, ma sembrano avere un impatto minore sulla produzione di droni».
A tutto questo vanno aggiunti i ritmi di produzione incessanti con Mosca che produce nuovi droni a ciclo continuo e «punta a raggiungere una capacità di 500-700 unità al giorno nel prossimo futuro. Questo incremento sta consentendo a Mosca di intensificare gli attacchi con droni contro l’Ucraina». Attacchi che cambiano continuamente modalità, con attacchi anche di giorno e – come a Dnipro – contro treni passeggeri in viaggio. E con un’altra tecnica sempre più utilizzata, quella dei “droni esca”. Che sembrano Shahed e che invece hanno solo la loro forma, volano senza esplosivo e servono solo a ingannare mitraglieri e sistemi di difesa. «Le forze russe stanno utilizzando sempre più frequentemente droni esca o droni a basso costo, come i Gerbera», conferma Kateryna Stepanenko.
Si mischiano al ronzio che quasi tutte le sere terrorizza i civili, da Kharkiv a Odessa fino alla capitale. E con un obiettivo preciso. «Saturare le difese aeree ucraine e aprire la strada ai droni reali, che puntano a colpire le infrastrutture critiche del paese».
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