Nessuna minaccia di revocare gli accordi diplomatici con i paesi arabi conseguiti lo scorso anno, con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Sostanziale appoggio per l’operazione su Gaza, chi più chi meno, dai paesi dell’Unione europea, con Repubblica Ceca e Austria che addirittura espongono bandiere israeliane nelle sedi istituzionali. Stati Uniti granitici nell’esprimere sostegno al diritto di Israele a difendersi e poi blandi nel condannare i bombardamenti con vittime civili a Gaza.

Il Presidente turco Tayyip Erdogan al solito tagliente nelle dichiarazioni pubbliche contro Israele, ma restio a prendere provvedimenti che intacchino i solidi rapporti commerciali con la Turchia. Eitan Naeh, l’ambasciatore israeliano che aveva espulso nel giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme nel 2018 (circa 60 i morti nelle proteste a Gaza) se l’è d’altronde ritrovato rappresentante ad Abu Dhabi – una volontaria ripicca israeliana.

Soddisfazione

Insomma, mentre si entra nella seconda settimana di guerra fra Israele e miliziani della striscia di Gaza, nei corridoi delle ambasciate e del ministero degli esteri israeliano serpeggia soddisfazione per le reazioni sul piano globale. «Ha aiutato molto il fatto che le ostilità siano iniziate dopo il lancio di razzi di Hamas verso Gerusalemme lunedì scorso, piuttosto che da un raid israeliano sulla Striscia di Gaza», dice un ambasciatore israeliano all’estero che richiede l’anonimato. Sull’impatto della guerra sui cosiddetti accordi di Abramo con i paesi arabi commenta: «Li abbiamo siglati dopo tante guerre, non sarà una in più a cambiare le cose».

Yigal Palmor, a lunghissimo portavoce del ministero degli esteri israeliano e architetto della comunicazione istituzionale israeliana, si dice soddisfatto della tenuta degli accordi. «Per il momento, e sottolineo per il momento, abbiamo ricevuto alcune condanne dai paesi arabi, ma nulla di particolarmente grave. Nessuna minaccia di rottura dei rapporti diplomatici, l’Arabia Saudita continua silenziosamente a permettere ai voli israeliani diretti verso il Golfo di transitare nel proprio spazio aereo.

In Giordania ci sono proteste ma le autorità non lasciano che si avvicinino alla frontiera israeliana. Dal punto di vista delle reazioni governative possiamo dirci soddisfatti, mentre è più complesso il fronte dell’opinione pubblica», dice.

Palmor ricorda bene come la prima apparente ondata di normalizzazione fra Israele e il mondo arabo si fosse vista negli anni Novanta, nell’ambito degli accordi di Oslo che dovevano portare alla pace coi palestinesi.

Dal Marocco alla Mauritania, dalla Tunisia al Qatar e all’Oman, tanti paesi avevano aperto canali diplomatici preliminari con Israele. Nel 1993 Shimon Peres, il ministro degli Esteri di Gerusalemme, si lanciava nella pubblicazione di un libro intitolato Il nuovo Medio Oriente, ma i nuovi legami furono recisi con l’avvento della seconda intifada e in ultimo con il conflitto con la Striscia di Gaza del 2009, nel caso di Qatar e Mauritania. Una dinamica che per ora oggi ancora non si vede.

Manifestazioni in Europa

In Europa Israele incassa critiche moderate dalla Francia (dove 22.000 persone sono scese in piazza in solidarietà con i palestinesi), comunicati comprensivi da Germania e Regno Unito, critiche un po’ più severe ma attese da Irlanda e Spagna, mentre dal Giappone arriva un tweet di sostegno dal ministero della Difesa. Quanto alla nuova amministrazione americana di Joe Biden, le pressioni per un cessate il fuoco non sembrano per ora efficaci.

«Ancora prima dello scoppio della guerra di Gaza era chiaro che il medio oriente non fosse una priorità per la nuova amministrazione di Washington», dice sempre Palmor, «basti pensare che non hanno neppure nominato un ambasciatore in Israele. I loro obiettivi principali sono contrastare l’influenza cinese e il ritorno alle politiche multilaterali».

A indispettire Israele rimane comunque la posizione dell’Onu, generalmente vissuta come un’istituzione ostile. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito i combattimenti «completamente scioccanti» e aggiunto che «le Nazioni unite stanno spingendo su tutti i fronti per un cessate il fuoco immediato».

Dice un rappresentante israeliano: «Guterres ha fatto commenti molto duri anche su quanto sta succedendo dentro Israele, facendo riferimento agli scontri fra arabi ed ebrei nelle città miste, divenuti gravi a partire da martedì scorso. Di solito quando ci sono conflitti interni agli stati la diplomazia tace, per rispetto della sovranità».

Resistenze all’Onu

Nel frattempo gli Stati Uniti si sono opposti alla pubblicazione di un comunicato del Consiglio di sicurezza Onu per la terza volta in una settimana – l’ultima versione secondo la stampa israeliana chiedeva un cessate il fuoco e l’annullamento sfratti dalle case contese del quartiere di Sheikh Jarrah senza citare il lancio di razzi palestinese.

Sul terreno i mediatori delle Nazioni unite cercano di trovare un accordo fra le parti insieme agli egiziani, che tradizionalmente fanno da tramite fra Israele e i miliziani di Gaza. Ma il sospetto è che sia ancora di là da venire.

 

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