Israele ha il nucleare? Rimane l’opacità e il doppio standard occidentale

Quante “divisioni nucleari” ha Israele? L’ipotesi che detenga l’arma atomica ha mezze ammissioni, smentite e mezze verità. Nell’inverno del 2020 Rubina Waseem evidenziò l’«opacità nucleare di Israele nel già volatile ambiente della sicurezza in Medio Oriente». Opacità che, oltre a preoccupare i paesi dell’area, ostacolò la cosiddetta Zona libera da armi nucleari in Medio Oriente voluta dall’Assemblea Generale dell’Onu con risoluzione del 22 dicembre 2018. La questione risale agli anni Sessanta. Lo studioso Matteo Gerlini ha ricordato una crisi tra l’amministrazione Eisenhower e Israele proprio sul nucleare. Si temeva un attacco dei paesi arabi se Israele avesse rifiutato ispezioni internazionali al sito nucleare di Dimona, nel deserto del Negev. Israele rifiutò agli americani e a chiunque altro ispezioni di tal genere. A Kennedy, che aveva chiesto di tranquillizzare il presidente egiziano Nasser, il premier israeliano Levi Eshkol rispose che «in certe circostanze, una donna virtuosa può non voler apparire tale». Nucleare iraniano, tutti i dubbi sui bombardamenti Usa. Per gli analisi «solo danni limitati» I sospetti Usa Nell’agosto 1963, Israele certamente diede assicurazioni, ma esse non tranquillizzarono Kennedy, fortemente dubbioso sulle ricerche nucleari israeliane. «Sembra improbabile – scrisse l’ambasciata americana a Tel Aviv – che un paese che deve gestire con parsimonia le risorse abbia fatto un tale investimento su Dimona solo sotto il profilo scientifico e commerciale, e come sede di addestramento d’ingegneri nucleari […]. Ciò non vuol dire che il governo israeliano stia costruendo o necessariamente progettando di fare armi nucleari, ma è del tutto pensabile che stia realizzando molto altro, […] onde passare alla produzione di armi in un tempo relativamente breve, se la situazione internazionale lo richiedesse». Con il presidente Johnson il “tema Dimona” rimase nodale. Non si credeva che in pieno deserto fosse nato dal nulla un sito nucleare solo per ragioni pacifiche; ragioni militari dovevano esserne alla base. Lo ribadì il 29 giugno 1966 in un dispaccio segreto l’ambasciata americana a Tel Aviv: gli israeliani avevano fatto intendere che a Dimona si sarebbe prodotta un’arma nucleare. Non era il caso d’interessare l’Aiea, l’agenzia Onu sul controllo nucleare con base a Vienna, di cui Israele era membro? «A causa dei Paesi arabi – scrisse l’ambasciata – Israele non potrà mai accettare che l’Aiea controlli i suoi reattori. Israele dice di avere scarse relazioni all’interno dell’Aiea, essendogli stato negato qualsiasi ruolo importante». I sospetti americani rimasero. Il 4 settembre 1974 la Cia avvertì: «Riteniamo che Israele abbia già prodotto armi nucleari. Il nostro giudizio è basato sull’acquisizione da parte di Israele di larghe quantità di uranio, in parte con mezzi clandestini [...], e sul consistente investimento di Israele in un costoso sistema missilistico progettato per ospitare testate nucleari». Notizie confermate nel dicembre del 1974 dallo stesso presidente israeliano Ephraim Katzir, parlando dello sviluppo di un potenziale nucleare: «Abbiamo ora quel potenziale». Minacce russe e disimpegno Usa. All’Ue serve un deterrente nucleare Conferme e indiscrezioni sul nucleare Che Israele stesse lavorando a un’arma nucleare fu confermato dall’intelligence e da rilevazioni satellitari. Nel febbraio del 1980 la Cia, riferendo al Congresso sulla proliferazione nucleare nel mondo, affermò che, qualora si fosse verificato un test nucleare, Israele sarebbe stato primo sospettato. La questione se Israele avesse un potenziale nucleare accompagnò anche l’ultimo scorcio di Guerra fredda e il dialogo fra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov. Il 5 ottobre 1986 lo scienziato israeliano Mordechai Vanunu rivelò al Sunday Times che Israele aveva un programma nucleare clandestino: a Dimona negli ultimi vent’anni erano state prodotte testate nucleari. Circa un mese dopo Vanunu scomparve nel nulla mentre era a Londra, rapito dai servizi segreti israeliani. All’inizio del 1987 esperti nucleari americani ritennero credibili le sue rivelazioni, coerenti con informazioni di altra fonte. Washington e Mosca incoraggiavano la non proliferazione nucleare, ma Israele ripeteva un suo mantra: dati per fondati i sospetti, Israele non era di certo il primo a introdurre armi nucleari in Medio Oriente. Il 27 marzo 1988 lo scienziato spia Mordechai Vanunu, dato per disperso o rapito, riapparve a processo in Israele, condannato a 18 anni di carcere per tradimento e spionaggio. La proliferazione nucleare non può essere fermata con le bombe Il doppio livello con l’Iran Niente è più pericoloso di una potenza nucleare “implicita”. L’incertezza su Israele ha giovato all’Iran. Un ayatollah già nel settembre 1991 disse: «Poiché il nemico dispone di impianti nucleari, anche gli stati musulmani dovrebbero dotarsi della stessa capacità». Gli amici di Israele non gli hanno mai chiesto del suo programma nucleare; tantomeno di permettere all’Aiea ispezioni a Dimona. L’esatto contrario del caso iraniano. Per i dati Aiea, al 26 ottobre 2024 l’Iran deteneva in totale 5807,2 kg di uranio arricchito. Meno della metà di questo uranio era arricchito fino al 2 per cento; poco meno della metà fino al 5 per cento; poco meno di un settimo fino al 20 per cento. Solo il 3,13 per cento dell’uranio totale era arricchito al 60 per cento, percentuale comunque legittima. Pur preoccupata per la condotta dell’Iran, l’Aiea raccomandava ai paesi membri di risolvere le controversie con l’uso della diplomazia. Solo dopo l’attacco israelo-americano ai siti nucleari iraniani, Rafael Grossi, direttore dell’Aiea, disse chiaramente non esserci prove del fatto che l’Iran stava costruendo armi atomiche. E, propaganda a parte, Grossi aggiunse che, pur avendo provocato ingenti danni, le buster bombs americane non avevano penetrato le sale di arricchimento dell’uranio. Nei documenti segreti americani, l’inconfessabile verità: quegli attacchi «probabilmente hanno ritardato il programma nucleare di alcuni mesi». Non di anni. L’intelligence fece poi un’altra amara scoperta: «Gran parte delle scorte iraniane di uranio altamente arricchito potrebbero esser state trasferite in altri siti nucleari segreti». Lo confermò Rafael Grossi: si era persa traccia di 400 kg di uranio arricchito al 60 per cento. Il 19 giugno dei satelliti-spia videro sedici camion percorrere la strada verso i tunnel che a Natanz proteggevano i depositi di uranio. Prevedendo un attacco israelo-americano, l’uranio era stato spostato altrove. Attaccare l’Iran è stato dunque parzialmente inutile; lo ammise al vertice Nato dell’Aia del 25 giugno il segretario alla Difesa americano Pete Hegseth, carte d’intelligence alla mano. Perché il nucleare non è più un deterrente Bombardato l’Iran, tutt’oggi è ancora l’«opacità» di Israele a preoccupare. I satelliti hanno svelato lavori in corso a Dimona. Gli analisti pensano si tratti di lavori per la produzione di un nuovo tipo d’arma nucleare. La questione ripropone vecchi e nuovi interrogativi: Israele detiene o no l’arma atomica? A differenza dei mille chiarimenti da chiunque richiesti a Teheran, nessuno ha chiesto a Israele una parola chiara sul punto. Il fatto che Israele sia nel “campo occidentale” esenta i suoi alleati dal domandargli chiarezza?