Israele e la lezione dimenticata di Rabin. Herzog: «Oggi siamo sull’orlo dell’abisso»

In occasione dei trent’anni dall’assassinio dell’ex primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, il leader che più di tutti è andato vicino a siglare una pace con i palestinesi, per una notte a Tel Aviv è tornato a vivere il campo pacifista. Nell’aria sono tornati a risuonare slogan praticamente estinti dal discorso pubblico dello Stato ebraico: solo la pace porterà la sicurezza, sì alla pace no alla violenza, la democrazia è forte solo senza l’occupazione. Piazza Rabin, che da cinque anni è un cantiere di lavori in corso, è tornata a riempirsi in parallelo con la tradizionale manifestazione per gli ostaggi del sabato sera, sfruttando gli spazi dell’arteria limitrofa Ibn Gavirol. Clima d’odio Tantissime altre iniziative sono previste per il giorno esatto, martedì 4 novembre. Intanto, in occasione della cerimonia di Stato, lunedì il presidente Isaac Herzog ha messo in guardia contro il clima d’odio che si respira all’interno del paese: «Siamo sull'orlo di un abisso e la strada da seguire deve essere una sola: tolleranza zero per la violenza». E ancora: «Lo Stato ebraico e democratico di Israele non è un campo di battaglia, ma una casa, e in casa non si spara, né con le armi, né con le parole, né con le espressioni o con le allusioni». Assente d’eccezione, lui che per tanti anni aveva partecipato obtorto collo alle cerimonie per senso di responsabilità istituzionale, il premier Benjamin Netanyahu. Bibi, che è stato a lungo accusato di aver fomentato durante le manifestazioni politiche dell’epoca l’odio contro Rabin, ha preferito continuare i suoi bracci di ferro con Hamas. In forma anonima ha diffuso un comunicato in cui avverte 200 militanti del movimento, che sarebbero rimasti bloccati nei tunnel oltre la linea gialla che spacca a metà Gaza, che non consentirà loro un passaggio sicuro dal lato israeliano a quello palestinese, come proposto dagli Usa. Lunedì, piuttosto, le forze israeliane hanno nuovamente aperto il fuoco contro individui accusati di sconfinare oltre la linea di demarcazione provvisoria. Hamas ha sempre meno potere negoziale: detiene ancora i cadaveri di 8 ostaggi israeliani, dopo che Israele ha identificato gli ultimi tre: i soldati Omer Neutra, Oz Daniel, Asaf Hamami. Proprio dal ridispiegamento israeliano nella Striscia di Gaza era partito il processo di Oslo con cui Rabin sperava di portare la pace. Ma molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Trent’anni, tre pallottole, trentamila voti con cui Netanyahu si aggiudicò le elezioni contro qualsiasi pronostico soltanto un anno dopo, sconfiggendo Shimon Peres nel 1996. E tante domande su cosa sarebbe successo se l’estremista di origini yemenite Yigal Amir non avesse sparato. Gaza, l’offerta di Trump: un corridoio sicuro per i miliziani di Hamas Le parole di Rabin davanti alla folla di quella che allora si chiamava “Piazza re d’Israele”, «credo che ci sia una possibilità di pace, una vera possibilità di pace», «il popolo vuole veramente la pace», avrebbero davvero avviato un processo di archiviazione del conflitto? Oppure la rivolta degli estremisti, come il colono israeliano Baruch Goldstein che nel 1994 aveva già aperto il fuoco sui civili di Hebron, e i militanti di Hamas che di ritorno avevano inaugurato la strategia degli attentati suicidi, avrebbe affossato lo stesso il processo di Oslo? «Durante i giorni dell'avvio degli accordi di Oslo e della cessione della responsabilità dei territori palestinesi […] ero Ufficiale della divisione operativa Giudea e Samaria», ha detto nel suo intervento dal palco Yair Golan, leader dei Democratici e unico politico israeliano di spicco a parlare seriamente di un ritorno al processo di pace. «Ho visto Rabin approvare personalmente i piani, città per città, soffermandosi su ogni dettaglio. Sapeva che la sicurezza non è guerra senza fine, che il conflitto non bisogna gestirlo ma bisogna risolverlo».E ancora: «Quelle tre pallottole si fanno ancora sentire in ogni atto del governo contro i suoi cittadini, nella distruzione della democrazia israeliana, ogni volta che arrestano manifestanti, che mettono a tacere i media o il sistema giudiziario, che disonorano pubblici ufficiali». Le tensioni sul piano domestico rimangono alte. Una corte israeliana ha prolungato il fermo di Yifat Tomer-Yerushalmi, la massima rappresentante legale dell’esercito israeliano. L’avvocatessa militare è stata arrestata domenica nell’ambito delle indagini sulla diffusione di un video che mostra gli abusi inflitti a un detenuto palestinese nel famigerato carcere di Sde Teiman. Intanto Yair Lapid, il capo dell’opposizione, ha dichiarato che membri del governo stanno trasformando l’ebraismo in violenza e odio. «Il razzismo violento di Itamar Ben-Gvir non è ebraismo. Coloro che propongono di sganciare l’atomica su Gaza non rappresentano l'ebraismo. La violenza dei coloni non è ebraismo». E ancora: «In questo giorno, in questo luogo», ha continuato Lapid, «convergono i due momenti di rottura più significativi nella storia dello Stato di Israele: l’assassinio di Rabin e il 7 ottobre». Tra i palestinesi vittime dei coloni: «Ci farebbero fuori in una notte» L’ostaggio liberato Assenti tutti i politici di maggioranza, e anche i rappresentanti principali della compagine araba, la commemorazione di Tel Aviv assomigliava meno all’evento unificante che è stato per lunghi anni e più alla manifestazione di forze della sinistra ebraica rimaste isolate. Gadi Mozes, a lungo ostaggio di Hamas dopo essere stato rapito dal kibbutz Nir Oz il 7 ottobre, ha invocato il ritorno della ricerca della pace fra le priorità del paese. «Possiamo almeno provare a raggiungere un accordo con i palestinesi, con la Siria e con il Libano. Dobbiamo fare tutto il possibile affinché i nostri figli e nipoti non conoscano la guerra», ha detto. «Se io, dopo 482 giorni difficili di prigionia e dopo il dolore, la perdita e il lutto, posso stare qui e pronunciare queste parole ad alta voce, allora tutti noi possiamo farlo».