Israeliani che difendono palestinesi. «Da dove viene tutta questa violenza?»

«Se prendo seriamente la liberazione della Palestina e il mio essere un’ebrea antisionista, mettere a rischio il mio corpo è un efficace contributo che io e altri ebrei possiamo dare». Anna Lippman, un’attivista contro l’occupazione israeliana della Cisgiordania, cerca di proteggere con la sua presenza le comunità palestinesi dei Territori contro le demolizioni ordinate dalle autorità o gli attacchi dei coloni. «Dopo il 7 ottobre, molte più persone hanno iniziato ad andare nel West Bank a proteggere la gente di persona, visto che non si poteva fare niente per Gaza. Lì è l’unico posto dove possiamo andare fisicamente ed essere utili». Gaza sotto le bombe spera nel negoziato egiziano. Il pressing degli Usa Oltre settemila raid A due anni dall’attacco terroristico di Hamas, dall’inizio dello sterminio dei gazawi, e col destino degli ostaggi israeliani appeso al filo del piano di pace di Donald Trump, anche la situazione della Cisgiordania si è aggravata. C’è stata un’accelerazione degli attacchi dei coloni, spesso protetti dalle autorità israeliane, come pure dell’accaparramento di terre palestinesi, sia attraverso demolizioni delle abitazioni degli arabi della zona ordinate da tribunali, sia con la creazione di outpost di coloni, che da un caravan o due si ingrandiscono, per diventare veri e propri insediamenti, successivamente legalizzati da Gerusalemme. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’agenzia dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), quest’anno ci sono stati 7.500 raid delle forze di sicurezza israeliane in comunità palestinesi della zona, che rappresentano un aumento del 37 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024. Nell’ultima settimana di settembre ci sono stati 27 attacchi di coloni. Il bilancio: 17 feriti, danni a case e proprietà, tre famiglie del nord della valle del Giordano sfollate e un palestinese ucciso nella zona di Ramallah. L’azione degli attivisti israeliani che cercano di proteggere queste comunità con la loro presenza è pertanto pericolosa per la loro incolumità, come testimonia un caso recente della zona di Masafer Yatta, dove è ambientato il documentario premio Oscar No Other Land. Dieci giorni fa, nove coloni nel villaggio di Fakhit hanno invaso il villaggio. Secondo il racconto di alcuni attivisti israeliani che prestano volontariato nella zona, in tre hanno preso a calci un’attivista, l’hanno buttata a terra e l’hanno bastonata sulle gambe. Un’altra è stata presa a pugni e calci sulle gambe, le braccia e il torace. «Le hanno sputato in faccia, le hanno chiamate “puttane” e le hanno strappato di mano i telefoni», raccontano gli attivisti. L’assalto è durato 40 minuti. Se ne sono andati via dopo che la polizia è arrivata, per poi andare impuniti a farsi il bagno nella riserva d’acqua del villaggio, sempre secondo il racconto degli attivisti. La minaccia su questa comunità non si è in nessuna maniera affievolita dopo il successo del documentario. Un tribunale israeliano ha recentemente deciso di far abbattere la guesthouse del suo villaggio della zona che nel tempo ha ospitato attivisti che con la loro presenza volevano proteggerlo. «Le corti dell’apartheid israeliane hanno detto crudelmente che la sua distruzione è imminente. Chiedo a giornalisti, diplomatici e a chiunque possa aiutare di venire qui e sostenerci prima che sia troppo tardi», ha scritto Basel Adra, uno dei registi di No Other Land. Una parete della guesthouse è coperta da un murale realizzato dal Collettivo Fx, un gruppo di artisti e attivisti italiani, che poi hanno venduto quote del diritto d’autore ad altre persone e organizzazioni per proteggere l'edificio e per sostenere economicamente gli attivisti locali. Ma non è bastato. Elie Avidor, un volontario israeliano delle organizzazioni pacifiste Combatants for Peace e Jordan Valley Activists, racconta che l’attività di «presenza protettiva» è iniziata anni fa proprio da Masafer Yatta, per poi estendersi ad altre comunità palestinesi, minacciate dai coloni. Diverse ma unisone, le voci della piazza spontanea per Gaza Mire sulle terre Dopo il 7 ottobre, spiega Avidor, i coloni e nazionalisti religiosi hanno intravisto un’opportunità imperdibile: appropriarsi delle terre palestinesi in Cisgiordania, mentre tutti erano concentrati sulla guerra di Gaza. «Per loro, non ha importanza da quanto tempo questi palestinesi vivessero lì: sono tutti dei potenziali terroristi», denuncia Avidor. Dice che in qualche caso, ricorrendo ai tribunali israeliani, sono riusciti a sospendere e ritardare delle demolizioni ordinate dalle autorità, ma che non sempre gli ordini dei giudici sono rispettati. «La nostra presenza serve anche perché noi riusciamo a parlare con i militari quando intervengono. Siamo stati nell’esercito anche noi», spiega l’attivista, che ha combattuto sulle Alture del Golan nella guerra del Yom Kippur del 1973. Ora, con la possibilità che il piano di pace di Donald Trump per Gaza vada in porto, Avidor teme che le violenze dei coloni e la cacciata dei palestinesi della Cisgiordania possano accelerare ancora di più. «È incredibile vedere la cattiveria di molti di questi giovani. È difficile capire da dove viene. Posso solo immaginare che, per loro, fondamentalmente è una guerra per conquistare la terra, perché è quello che Dio vuole che facciano». L’accordo su Gaza è più vicino. Trump a Hamas: «No ritardi»