In Turchia continua l’ondata di arresti contro l’opposizione al presidente Erdogan. Questa volta nel mirino è finito il primo cittadino, Ekrem Imamoğlu, unico vero avversario del capo di Stato, ma il crescente autoritarismo della Turchia è importante anche per la difesa europea
La notizia dell’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, è arrivata di prima mattina. Secondo quanto riferito dai media turchi, le accuse sono di estorsione, corruzione, frode e turbativa d’asta da parte di un’organizzazione criminale e di favoreggiamento nei confronti del Partito dei lavoratori curdo (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica. Nei raid condotti dalla polizia nel corso della stessa giornata sono state arrestate anche altre cento persone ritenute vicine al primo cittadino della metropoli sul Bosforo.
I problemi con la giustizia non sono una novità per il primo cittadino di Istanbul. La procura di Istanbul ha aperto diverse indagini contro di lui nel giro di pochi mesi e Imamoğlu era già stato condannato nel 2022 a due anni di carcere per aver insultato la commissione elettorale. Il sindaco aveva fatto appello e attendeva la sentenza da parte della Corte, fondamentale per il suo futuro politico. In caso di condanna definitiva, per il primo cittadino sarebbe scattato il divieto di partecipazione alla vita politica.
Metropoli blindata
Il suo arresto arriva in un momento molto delicato per la politica interna della Turchia. Il 23 marzo si dovrebbero tenere le primarie del Partito popolare repubblicano (Chp) e Imamoğlu era dato largamente per favorito dopo il ritiro del sindaco di Ankara, Yavas. In realtà la candidatura del sindaco alle prossime presidenziali era stata già messa in pericolo un paio di giorni prima, quando l’Università di Istanbul aveva annullato il suo titolo di studi, ritenendolo falso. Senza una laurea, non è possibile presentarsi alle presidenziali in Turchia che dovrebbero tenersi nel 2028.
Nel frattempo Istanbul è stata blindata e l’accesso a zone sensibili come piazza Taksim e Gezi Park, luoghi simbolo delle proteste turche, è stato interdetto. Nel paese è stato anche pesantemente ridotto l’accesso ai social media e sono state vietate tutte le manifestazioni per ben quattro giorni.
«C’è un’escalation che va avanti ormai da mesi nei confronti dell’opposizione, con i sindaci del partito filo-curdo Dem arrestati con accuse di varia natura, ma per motivazioni che sono fortemente politiche», spiega Riccardo Gasco, ricercatore del think tank turco IstanPol. «L’intento del governo è chiaro: Erdoğan non può ricandidarsi, l’economia non è in ripresa e quindi il target diventa l’opposizione».
Erdoğan ha paura soprattutto di Imamoğlu perché è una figura nota non solo in patria, ma anche a livello europeo. È l’unico politico in grado di ottenere anche dei fondi per progetti infrastrutturali a Istanbul da parte di altre capitali europee, riuscendo così ad aggirare lo stretto controllo del governo centrale.
Ma l’arresto si lega anche al recente annuncio dello scioglimento del Pkk e alla prospettiva di una risoluzione politica della questione curda. «Si tratta chiaramente di un modo per dividere l’opposizione e paralizzarla. Erdoğan sta cercando di risolvere un problema ma allo stesso tempo sta togliendo ogni possibilità di manovra alla controparte.
Il Chp da solo non può vincere le elezioni, ma anche Erdoğan ha bisogno del Dem party, per questo cerca di ottenere il supporto dei curdi indebolendone allo stesso tempo l’alleato principale». Con l’obiettivo ultimo di cambiare la Costituzione, potersi presentare alle prossime elezioni e vincere per la quarta volta consecutiva.
Come conferma anche l’analista Cuma Çiçek, l’arresto di Imamoglu avrà però un impatto negativo sulla trattativa con i curdi. «Per il Chp sarà difficile sostenere qualsiasi iniziativa governativa, anche su questo tema. Inoltre ora si prospetta una nuova crisi politica che avrà conseguenze anche a livello economico». La lira turca ha toccato il suo minimo storico dopo la notizia dell’arresto.
Prospettiva internazionale
La nuova ondata di arresti ha dei risvolti anche a livello internazionale e riguarda molto l’Europa. «Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha dato più spazio di manovra a leader autoritari nel mondo, perché i metodi di Trump sono tutto fuorché democratici e le potenze medie come la Turchia si sentono autorizzate ad agire in maniera ancora più autoritaria, colpendo prima di tutto le opposizioni», sottolinea Gasco. Ma allo stesso tempo l’Unione europea si trova in una fase storica in cui ha bisogno più che mai della Turchia. «La narrazione è cambiata molto nelle ultime due settimane.
La Turchia viene definita nuovamente un paese candidato, un alleato strategico e figure di spicco come il segretario generale della Nato Rutte e il premier polacco Tusk hanno dichiarato che non può esistere un’architettura di difesa europea senza la Turchia». Non sorprende quindi la reazione a caldo, ieri, del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, che esprimeva tutta la sua «preoccupazione», aggiungendo che, «in quanto membro del Consiglio d’Europa e paese candidato all’Ue, la Turchia deve sostenere i valori democratici, in particolare i diritti dei funzionari eletti. Il che richiede il rispetto dei principi fondamentali».
Un copione già visto
In realtà Erdoğan è ben consapevole di questo cambio di approccio e quindi sa di poter agire in maniera autoritaria senza rischiare particolari ripercussioni dall’Unione. Un copione già visto con la crisi migratoria nata a seguito della guerra in Siria.
«Se prima si parlava di utilizzo della migrazione come arma, ora si parla di weaponizzazione della difesa. Quindi è un problema il fatto che nessuno a livello europeo parli del deterioramento dei diritti in Turchia o di come istituzionalizzare questo nuovo rapporto con il paese». Un’ultima questione che Gasco solleva è quella della Siria. Dopo la caduta di Assad, i leader europei sono tutti passati da Ankara per interloquire con il nuovo governo siriano. Tutti questi elementi – il ruolo in Siria e il coinvolgimento nella difesa europea – possono rivelarsi però un problema per l’Europa.
Come spiega bene Gasco, ignorare le dinamiche interne della Turchia potrebbe mettere a rischio la sicurezza stessa dell’Ue. «Se la Turchia viene integrato in maniera emergenziale, senza discutere bene del come, potrebbe poi diventare nuovamente un alleato di cui non ci si fida, ma da cui è difficile allontanarsi. Soprattutto se è così strettamente inserito nella difesa europea».
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