La storia dei rapporti tra Italia e Francia è stata raccontata enfatizzandone le difficoltà o ricercando, nella ciclicità delle crisi, i motivi di una solidità di fondo capace di sopravvivere anche ai momenti più delicati.

Una certa semplificazione è senza dubbio utile all’inquadramento della questione, ma si corre altresì il rischio di incorrere in una problematizzazione indifferenziata. La dialettica di cooperazione-competizione non può essere fissata, tutt’al più ricondotta a una continua negoziazione tra due soggetti la cui prossimità geografica ne ha definito al tempo stesso l’osmosi culturale e l’asimmetria di potenza.

Nel corso della loro storia recente, l’asimmetria come carattere costitutivo delle relazioni tra Roma e Parigi è stata di volta in volta difesa e rivendicata dalla Francia nel nome della grandeur, allorché veniva negata e fatta oggetto di tentativi di correzione italiani nel nome della parità di stato.

Sul continente, la sfida insita nei rapporti tra l’Italia e la Francia veniva poi trasferita, come ancora ai giorni nostri, sul piano delle relazioni con la Germania. Ma il secondo perimetro all’interno del quale stabilire i limiti del confronto e gli spazi della convivenza si trova, per ovvie ragioni geografiche, nel bacino mediterraneo.

La qualità di questo dialogo mediterraneo dipende tuttavia dall’importanza assunta di volta in volta dalla regione, una variabile politica, strategica ed economica capace di condizionare fortemente le relazioni tra Roma e Parigi anche su altri momenti e dossier della loro politica estera.

E mentre in Europa un’asimmetria di potenza poteva forse essere moderatamente accettata dall’Italia del dopoguerra dietro la convinzione che l’integrazione europea avrebbe potuto curarla, nel Mediterraneo questo divario non sempre appariva così incolmabile da giustificare una perpetuata relazione ineguale.

Ancor più, per parte francese, anche quando ci si sforzò di dissimulare, si rimase ancorati alla convinzione che l’Italia restasse un paese vulnerabile che non poteva non subire una qualche forma di dipendenza o vincolo esterno. Il problema, dal punto di vista della diplomazia transalpina, era che all’egemonia francese gli italiani preferivano quella americana.

Atlantismo o integrazione

La fine della Guerra fredda erose quelle che per cinquant’anni erano state le maglie entro cui il rapporto tra i due paesi si era andando facendo e disfacendo. Negli anni Novanta, questo mutamento si rifletté in una serie di tentativi di cooperazione euro-mediterranea che scontavano però momenti di tensione e divergenze di obiettivi: nell’ordine, perché la Francia voleva costruire un sistema di sicurezza euromediterraneo sganciato da quello atlantico mentre l’Italia, scomparsa la minaccia a est, ambiva a rafforzare la dimensione mediterranea dell’Alleanza.

Molti erano i motivi di potenziale confronto, ma essi finivano per essere neutralizzati dal fallimento delle iniziative diplomatiche o dalla mancanza di risorse militari ed economiche per dare loro sostanza. La questione mediterranea tornò a essere al centro del dibattito all’indomani dell’11 settembre, ma unicamente come riflesso di uno scontro che non poteva essere riferito soltanto all’ostilità della sinistra europea nei confronti di Berlusconi o all’euroscetticismo di alcune componenti del governo.

Il problema era l’allineamento internazionale delle principali potenze europee alle spinte unilateraliste americane che richiedevano, nel contesto dell’invasione dell’Iraq, una chiara scelta di campo.

Nel 2002-2003 il governo Berlusconi scelse, nel momento in cui si negoziava il progetto di un trattato costituzionale europeo, di schierarsi con l’alleato americano privilegiando così la coesione atlantica e la protezione dalla minaccia terroristica alla possibilità di un passo in avanti sulla strada dell’integrazione. Del resto, nessuno avrebbe potuto garantire che gli interessi italiani sarebbero stati tutelati meglio dall’avvicinamento alle posizioni di Francia e Germania, le quali, oltretutto, non davano segni di considerare l’Italia come un interlocutore idoneo a far parte di un direttorio a tre.

Tuttavia, proprio da quella crisi emergeva la convinzione per Roma che l’azione americana in Iraq potesse favorire una rinnovata assertività italiana nel Mediterraneo, al di là del contrasto alla pirateria o al terrorismo. In tal senso, il rapprochement con la Libia di Gheddafi fu funzionale a Berlusconi per rilanciare la sua immagine di uomo di stato (nella stessa logica con cui curò personali rapporti di amicizia con Bush e Putin), e alla diplomazia italiana come volano di penetrazione nell’Africa subsahariana.

Questo approccio finiva però per incrociare fatalmente le ambizioni del neo-eletto presidente Sarkozy, desideroso di infondere nuova linfa alla politica mediterranea francese promuovendo una strategia per l’Africa e il mondo arabo che passasse attraverso una Unione per il Mediterraneo.

Rispetto allo sforzo profuso nella semina, tuttavia, il raccolto fu piuttosto magro (con una certa soddisfazione italiana) e Parigi dovette accontentarsi di avvicinare paesi chiave come Libia, Algeria e Siria attraverso le lusinghe del commercio di armi o lo scambio di visite di stato.

Accuse e sospetti

Non sorprende che la lettura che fu data dell’azione francese in Libia nel 2011 fosse, da parte italiana, immediatamente riferibile al desiderio di riacquisire un primato messo in discussione e, perlomeno nel caso libico, apparentemente superato proprio da Roma.

In realtà, la scelta di Sarkozy di agire contro Gheddafi ebbe poco a che fare con l’espulsione dell’Italia dalla sua ex colonia, una eventualità desiderabile solo in subordine. Piuttosto, nel mezzo di una tempesta capace di trasformare radicalmente gli equilibri politici del nord Africa, la Francia apparve disorientata e danneggiata dalle rivelazioni di quanto profonda fosse la sua collusione con quelle autocrazie che i manifestanti volevano rovesciare.

Sarkozy concluse che lo status quo fosse più destabilizzante del cambiamento e che la Francia avrebbe dovuto agire per favorire la transizione. Nelle stesse settimane, inoltre, la crisi dell’eurozona permetteva alla Germania di assumere un’indiscussa preminenza negli affari interni dell’Unione e, in prospettiva, nella politica europea tutta.

La Libia diventava così per Parigi l’occasione di riaffermare, con un intervento militare, il ruolo della Francia nel Mediterraneo e reclamare la guida politico-militare dell’Ue. Parimenti, a un anno dalle presidenziali, la scarsa popolarità di Sarkozy lo avrebbe convinto di poter rilanciare la propria credibilità capitalizzando un successo internazionale.

Tuttavia, la condotta del governo francese durante la crisi, il precipitare dei rapporti personali con Berlusconi, lo scandalo su presunte tangenti ricevute dal regime libico, la voce secondo cui i terminali dell’Eni sarebbero stati tra gli obiettivi dei bombardamenti, contribuirono a sussumere i fatti di Libia all’interno della categoria cooperazione-competizione.

Soprattutto perché, negli anni seguenti, Roma e Parigi ebbero a trovarsi oggettivamente sui lati opposti della barricata a sostenere attori ostili l’uno all’altro – rispettivamente il governo di accordo nazionale di al-Serraj e l’esercito nazionale Libico di Haftar.

Ma, come in passato, la lettura delle cose mediterranee influenzava, ed era a sua volta influenzata, dalle incomprensioni, dalle riserve mentali e dalla competizione trasferita su piani diversi spesse volte privi di collegamento o coerenza strategica. Così, la penetrazione finanziaria francese nei settori bancario, assicurativo e delle telecomunicazioni era immediatamente ricondotta a una manovra a tenaglia, cui si tentava di dare risposta attraverso l’acquisizione dei cantieri di Saint Nazaire.

La crisi diplomatica del biennio 2018-2019, aggravatasi al punto da spingere l’Eliseo a richiamare l’ambasciatore Masset, si svolgeva dunque in un quadro di reciproche accuse e sospetti. Ciò nonostante, proprio il punto più basso nei rapporti tra Roma e Parigi fece intravedere l’opportunità di recuperare un rapporto sfilacciatosi ben oltre i limiti che entrambe erano disposte ad accettare in nome dell’orgoglio, del calcolo elettorale e degli interessi nazionali. Poi, come in altri momenti della loro storia, motivi esterni finivano per accelerare una composizione non più rimandabile.

Convergenza precaria

Paradossalmente, ciò avveniva proprio nel Mediterraneo e in Libia, dove tanto l’Italia quanto la Francia superarono una lettura esagerata delle proprie rivalità perché sottoposte a pressioni provenienti da altri attori internazionali o da problemi locali che finivano per allinearle.

La presenza turca a Tripoli, centro di gravità degli interessi italiani, preoccupava Roma tanto quanto le azioni turche intorno a Cipro e il finanziamento a partiti e gruppi islamisti mettevano in allarme la Francia. Parimenti, in Sahel la triangolazione tra terrorismo, migrazioni e instabilità rendeva improcrastinabile l’armonizzazione delle politiche di controterrorismo, mentre nel Levante i comuni interessi energetici e di sicurezza garantivano la cornice entro cui promuovere una diplomazia navale franco-italiana per difendere la libertà di navigazione e lo sfruttamento delle risorse energetiche marine.

Condizioni esterne e interessi assimilabili hanno reso possibile una convergenza che non può essere data per scontata. Sono questi gli estremi da tenere in considerazione quando si parla delle relazioni italo-francesi nel Mediterraneo, coordinate che non si possono annullare né nell’esaltazione dell’affratellamento culturale né nell’esasperazione del conflitto permanente.

Un certo grado di competizione è salutare tanto alla Francia quanto all’Italia, poiché consente loro di affinare le proprie risorse, testare i propri sistemi di sicurezza, ridefinire costantemente la portata dei propri interessi. Processi che richiedono, però, di mantenere fisso un principio: evitare la rottura e mantenere la tensione, per quanto in alto possa salire, entro confini politicamente gestibili.


Gli autori hanno più diffusamente trattato i temi del presente articolo nell’Approfondimento del Centro Studi Geopolitica.info “Oltre il Trattato del Quirinale” per l’Osservatorio di politica internazionale di Senato della Repubblica, Camera dei Deputati e Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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