Abraham Lincoln una volta disse che una casa divisa «non può stare in piedi», riferendosi al paese diviso dalla questione della liceità della schiavitù. Figurarsi quindi un gigante finanziario come Renaissance Technology.

Qui l’amministratore delegato è Robert Mercer, uno dei kingmaker del trumpismo nella sua forma originaria, mentre il suo presidente è James Simons, uno dei maggiori finanziatori del Partito democratico, ovviamente di establishment.

Simons e Mercer concordano su un punto: fare soldi grazie alle inefficienze del mercato e puntando su trader che provengano dal mondo delle scienze pure anziché dalle business school.

La matematica è il suo mestiere

E proprio dalla matematica proviene Simons: classe 1938, le sue doti prodigiose gli valgono un brillantissimo percorso accademico: laureato all’età di 21 anni, dottore di ricerca all’età di 23 e reclutato dalla National Security Agency per decifrare i codici utilizzati dai sovietici per le loro comunicazioni cifrate.

Dal 1968 per dieci anni è stato a capo del dipartimento di matematica della Stony Brooks University. Finché a 44 decide di cambiare strada. Non in modo radicale come un altro giovane prodigio della matematica, quel giovane genio chiamato Ted Kaczinsky, professore di matematica all’università di Berkeley, in California, più noto come Unabomber, che si dimise nel 1969.

Gli anni Ottanta di Simons erano quelli reaganiani dell’avidità “buona”. E quindi eccolo fondare una struttura che gestisce fondi d’investimento con un socio più giovane, Robert Mercer, dal background più informatico e dalle idee diverse.

Ma entrambi erano, e sono tuttora, uniti su due punti: la refrattarietà verso eventuali apparizioni mediatiche e la volontà di basarsi sui modelli matematici per raggiungere ampi margini di guadagno, che vengono raggiunti dal fondo Medallion, gestito da Renaissance e aperto solo a pochi soci fidati, che garantisce un rendimento medio del 39 per cento.

Sempre a proposito dell’apparire, Simons ha dichiarato nel 2006: «Dio mi ha dato una coda per tener lontane le mosche, ma preferirei non aver né una né le altre. Questo riassume la mia opinione sulla notorietà pubblica».

Su tutto il resto Simons è un affidabile donatore democratico, come ha dimostrato ampiamente nel 2016, quando ha dato 7 milioni di dollari a Priorities USA Action, comitato elettorale legato a Hillary Clinton. In quello stesso anno ha donato anche 2 milioni e 600mila dollari a vari candidati alla Camera e al Senato, oltreché un donazione di 25mila dollari per Security is Strenght, organizzazione vicina al senatore repubblicano Lindsey Graham, uno dei migliori alleati di Trump al Congresso, forse per il principio di tenere vicini anche i nemici.

Sul cambiamento climatico, il figlio Nathaniel governa una fondazione chiamata Sea Change, che sostiene azioni concrete contro il cambiamento climatico. Simons ha donato ben 26 milioni di dollari per l’elezione di Joe Biden.

La sinistra contro la finanza

Di certo non lo ha fatto per niente. E in un partito democratico sempre più diffidente nei confronti della “finanza”, c’è bisogno di farsi sentire a livello del Congresso e della Casa Bianca.

Per questo lo scorso giugno ha assunto dei lobbisti di prim’ordine, i fondatori dello studio Crossroad Strategies, due ex colleghi di Joe Biden, l’ex leader repubblicano al Senato Trent Lott e l’ex senatore democratico della Louisiana John Breaux. Quest’ultimo, che raramente si esprime sulla politica fuori dal suo lavoro di influente insider, ha detto: «Non ha parlato di un mondo immaginario. Ha saputo ascoltare i bisogni delle persone e dei singoli stati».

Anche se Breaux è uno dei lobbisti che sta lottando per scongiurare l’introduzione di una tassa di successione sui grandi patrimoni, sembrerebbe centrare maggiormente un disegno di legge approvato al Senato lo scorso 28 maggio, chiamato United States Innovation and Competition Act, che mira a introdurre un Direttorato per l’Innovazione e la Tecnologia nella National Science Foundation, l’agenzia federale che finanzia gli studi scientifici.

Questa nuova istituzione favorirebbe la competitività americana in settori cruciali come l’intelligenza artificiale e la manifattura 4.0 e per diffondere la conoscenza anche nel settore privato.

Non deve stupire: negli anni Simons ha donato 235 milioni di dollari alla sua vecchia università, la Stony Brook University, per costruire diverse nuove strutture.

Su di lui, a differenza che sul suo socio Robert Mercer, la stampa è stata più indulgente quando l’Irs, l’Agenzia delle entrate americana, ha fatto calare una scure da 7 miliardi di dollari di pagamenti arretrati chiesti a Reinassance per aver aggirato gli obblighi fiscali nel corso degli anni, fenomeno che era già passato sotto la lente della commissione banche e finanza del Senato nel 2014.

Come molti altri suoi colleghi, Simons non ha commentato queste vicende. Del resto, per lui, i giornalisti sono come mosche da scacciare con la coda.

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