Condannato Jimmy Lai: la morsa di Pechino su Hong Kong si fa sempre più stretta

Dopo un processo durato più di due anni, Jimmy Lai, uomo d’affari e fondatore del giornale pro democrazia Apple Daily, è stato giudicato colpevole di collusione con forze estere, e sedizione, crimini che possono comportare fino all’ergastolo. Il processo di Lai, che ha compiuto in prigione la settimana scorsa 78 anni, è il più importante ad essersi tenuto fino ad ora a Hong Kong sotto la legge sulla Sicurezza nazionale voluta da Pechino e imposta all’ex Colonia britannica il 30 giugno del 2020, portando a una modifica molto profonda della vita politica nel territorio. I giudici hanno anche giudicato le aziende di Lai colpevoli di cospirazione ai fini di pubblicare materiale sedizioso, e di collusione con forze estere: per gli editoriali in inglese che erano stati commissionati ad opinionisti stranieri. La condanna di Jimmy Lai, il “Murdoch d’Asia”: per Hong Kong si chiude un’era Lai era stato arrestato nel dicembre del 2020, e il suo quotidiano fu perquisito da 200 poliziotti, e fatto chiudere due mesi dopo. Fra le prove contro Lai, i suoi viaggi negli Stati Uniti, nel corso dei quali aveva incontrato esponenti del Partito Repubblicano, e diversi editoriali da lui firmati in cui chiedeva sanzioni contro la Cina per la repressione che stava mettendo in atto a Hong Kong. La pena sarà resa nota nelle prossime settimane, ma Lai sta già scontando cinque anni e nove mesi di prigione per “frode” per aver utilizzato delle stanze dell’edificio dove veniva prodotto l’Apple Daily per riunioni estranee al giornale, un’attività che il tribunale aveva stabilito fosse in contravvenzione con le specifiche dell’utilizzo dei locali. Uno dei giudici, Esther Toh, nel verdetto ha dichiarato che «è fuori da ogni dubbio» che Lai nutre «odio e risentimento» nei confronti della Cina, utilizzando come prove non solo alcuni dei suoi editoriali, ma anche conversazioni whatsapp con colleghi e conoscenti a Hong Kong e negli Usa. Apple Daily era più che un semplice giornale: fondato nel 1995, era il secondo giornale di Hong Kong per diffusione, un misto di tabloid, con gossip sui personaggi dello spettacolo e un occhio attento agli scandali, ma con una forte vocazione politica, e un sostegno costante per i movimenti di protesta e per la democratizzazione di Hong Kong, e della Cina. La decisione di lavorare nell’informazione era infatti stata presa da Lai in seguito al movimento di protesta cinese del 1989, che si concluse con la soppressione armata nei pressi di Tiananmen. La chiusura di Apple Daily ha segnato un notevole appiattimento del panorama informativo di Hong Kong, che pur restando significativamente più libero di quello della Cina continentale, è oggi molto più censurato e prudente di quanto non fosse prima dell’imposizione della legge sulla Sicurezza nazionale. Google ha oscurato l’inno delle proteste di Hong Kong Lai, profondamente cattolico, era arrivato a Hong Kong a nuoto quando aveva dodici anni, ed aveva fatto fortuna dal nulla, fondando dapprima una catena di moda pret-à-porter di grande successo, chiamata Giordano, e muovendosi poi nel mondo dell’informazione. Nel momento di maggiore successo, nel 2003, Lai aveva aperto un’edizione dell’Apple Daily anche a Taiwan, insieme alle due edizioni del settimanale Next, una a Hong Kong e l’altra a Taiwan. Ora, molti temono che Lai morirà in prigione, il personaggio di maggior rilievo ad essere stato processato in seguito alle proteste che segnarono quasi l’interezza del 2019 a Hong Kong. Il processo è stato seguito con apprensione ed interesse da moltissime persone a Hong Kong. Domenica sera, la sera prima dell’emissione del verdetto, diverse decine di sostenitori di Lai si sono recate davanti al tribunale di Kowloon dove è stato processato Lai, ed hanno dormito per strada per non rischiare di non trovare posto nell’aula. Alcuni hanno portato scatole di mele, che sono state tenute in mano davanti ai fotografi, come debole proteste in una città in cui le proteste non sono quasi più possibili, in particolar modo se riguardano casi ritenuti di sicurezza nazionale. Con la nuova legge sulla sicurezza nazionale Hong Kong fa un altro passo verso la Cina Il verdetto viene un giorno dopo l’annuncio da parte del Partito democratico di Hong Kong di essere costretto a sciogliersi, citando le eccessive pressioni e l’impossibilità di essere accettati come candidati alle elezioni, alle quali possono ora presentarsi solo “patrioti”. Presenti fra il pubblico anche il Cardinale Zen, di 93 anni, un prelato che si è spesso speso in favore degli attivisti pro democrazia, e uno dei figli di Jimmy Lai, Lai Shun-yan, e la moglie Teresa. Altri due figli di Lai sono invece all’estero, da dove hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale al caso del padre, e alla sua salute, che starebbe deteriorando. Lai è infatti apparso molto dimagrito, per quanto d’umore apparentemente buono. Dal 2006, Lai è cittadino britannico, ma malgrado l’entrata in vigore della legge sulla Sicurezza nazionale, aveva deciso di non lasciare il territorio, dichiarando in diverse occasioni che era il suo modo per ridare quello che poteva a una città che gli aveva dato “tutto”. Per quanto il giudizio non rappresenti una sorpresa, segna comunque un’ulteriore chiusura di un’epoca, durata 35 anni, in cui Hong Kong era una città in cui la libertà di espressione, e di associazione, erano veramente tali, e in cui molti avevano sperato di poter costruire una società pienamente democratica. Un sogno incompatibile con la visione politica di Pechino, e con il modo in cui Pechino ha stabilito di governare Hong Kong.