George Bush senior, Helmut Kohl, Giorgio Napolitano, John McCain. Sono alcuni dei nomi che negli ultimi anni hanno ricevuto il prestigioso premio Henry Kissinger. Un riconoscimento assegnato dall’Accademia americana di Berlino a figure che hanno rafforzato le relazioni transatlantiche.

Oggi nella capitale tedesca il premio andrà a tre leader dei paesi Baltici: Evika Silina, premier della Lettonia, Ingrida Simonyte, ex premier della Lituania e a Kaja Kallas, ex premier dell’Estonia oggi Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera.

Il tempismo sbagliato

Il tempismo del premio, però, non è ideale, visti i rapporti ai minimi termini tra Europa e Stati Uniti. Se possibile, il tempismo è ancor meno adatto per premiare Kallas. Specie per il suo contributo ad avvicinare le sponde dell’Atlantico. La diplomatica estone, infatti, è reduce da un viaggio a febbraio a Washington, in cui il segretario di Stato Marco Rubio ha rifiutato di riceverla, nonostante le insistenze – al limite delle suppliche  – dell’Alto rappresentante europeo.

«Se tu sei un Commissario nominato da Germania, Italia o Francia hai un peso diverso rispetto a uno scelto da un paese Baltico, nonostante tu sia incaricata per agire a nome di tutta l’Ue. Soprattutto quando hai a che fare con un’amministrazione Trump così transnazionale che non vuole parlare con Bruxelles e capisce solo la forza. Quindi gli Usa si chiedono: perché dovremmo parlare con una figura come Kallas?», spiega a Domani Arturo Varvelli, capo dell’ufficio di Roma e Senior policy fellow per lo European Council on Foreign Relations.

L’ex premier estone, 47 anni, sembra pagare il fatto di essere stata nominata Alto rappresentante senza però avere le spalle coperte da un paese tradizionalmente più importante.

La sensibilità sull’Ucraina

Ursula von der Leyen ha scelto Kallas per quel ruolo per la sua sensibilità verso l’Ucraina, il solo dossier a cui l’estone dedica attenzione. Per motivi personali e storici. Sebbene sia una questione su cui Kallas vorrebbe sempre intervenire, alla riunione dei volenterosi per supportare Kiev in Francia sono volati la stessa von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa.

Cioè i veri volti della politica estera europea (in caso ce ne fosse una) e ben più prudenti rispetto a una Kallas a cui nel frattempo è toccata una visita nei paesi centro asiatici.

Il suo approccio da falco anti-russo, infatti, non è seguito da tutti i paesi europei. Il piano che aveva proposto per raccogliere 40 miliardi per Kiev è andato subito in frantumi dopo l’opposizione di alcune capitali, come Madrid, Roma e anche Francia. Quindi è passata a una cifra ben più bassa, cinque miliardi in munizioni, poi evaporata lo stesso. Un piano, tra l’altro, scaricato anche dai suoi colleghi Costa e von der Leyen.

Il rapporto con von der Leyen

Come riportato prima da Eunews e poi da Politico, fonti di Bruxelles hanno sottolineato che Kallas si comporterebbe come se fosse ancora un primo ministro. Diversi funzionari europei non hanno gradito il piano di aiuti all’Ucraina sia per il poco preavviso con cui è stato presentato, senza interlocuzioni precedenti, sia per alcuni contenuti, come la richiesta di contribuire in proporzione alle economie nazionali.

In teoria l’Alto rappresentante dovrebbe fare da mediatore, ma è un ruolo che sembra stare stretto a Kallas. I modi bruschi insieme alle sue dichiarazioni poco diplomatiche, come quando dopo lo scontro tra Trump e Volodymyr Zelensky allo Studio Ovale disse che il mondo libero avesse «bisogno di un nuovo leader», lo testimoniano.

È pur vero che alcuni paesi, come i Baltici, la Polonia o la Danimarca sostengono tuttora Kallas proprio per la sua postura contro la Russia e perché - in un momento storico simile - non ritengono utile parlare troppo burocratese.

Von der Leyen sapeva a cosa andava incontro. «C’era la necessità di dare un segnale ai paesi Baltici, di dimostrare che la loro esigenza di sicurezza sarebbe stata direttamente rappresentata nel governo dell’Ue», racconta Varvelli. Ma la presidente della Commissione era proiettata a centralizzare il suo potere. Affidando a Kallas l’incarico, ma togliendole alcune competenze come la Difesa o il Mediterraneo con la creazione di nuovi commissari, ha scelto «la politica del divide et impera», sottolinea ancora Varvelli.

Sempre secondo il politologo, «von der Leyen ha considerato che Kallas non potesse sottrargli la leadership sugli altri dossier, visto che non sembra avere grande conoscenza della politica estera globale dell’Ue». Gli Usa e tantomeno la Russia non la considerano un’interlocutrice. Di Africa e di Sudamerica parla poco, su Gaza e Medioriente non si espone e il suo viaggio in Israele non ha prodotto alcun risultato. A von der Leyen va bene così.

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