Salvo rari episodi, quella che si è combattuta in Ucraina è stata finora una guerra terrestre e aerea, ma sarebbe un errore sottovalutare l’importanza della dimensione marittima, anche alla luce del recente affondamento dell’ammiraglia russa Moskva nel mar Nero.

Questo mare chiuso è connesso al Mediterraneo tramite lo stretto del Bosforo e al mar d’Azov dallo stretto di Kerc. Oltre a Russia e Ucraina, vi si affacciano quattro paesi rivieraschi di cui tre membri della Nato, Turchia, Romania e Bulgaria, e uno stretto alleato occidentale, la Georgia.

A dire il vero, una porzione di costa georgiana è in mano dell’Abkhazia, repubblica separatista controllata dalla Russia. Le acque territoriali della Turchia si estendono per tutta l’area meridionale del mar Nero, mentre a nord la Russia rivendica una zona economica esclusiva e il controllo attorno alla Crimea, occupata illegalmente nel 2014 dai famosi “omini verdi” (soldati russi senza insegne).

La penisola ospitava già un’importante base navale russa nel porto di Sebastopoli, ma ora Mosca vuole consolidare una fascia che dal mar d’Azov scenda per Mariupol sino alla Crimea e arrivi a Kherson. L’obiettivo strategico è negare l’accesso al mare a Kiev e ottenere il controllo di una fetta importante del mar Nero con i suoi porti.

Potere marittimo

In dottrina, con potere marittimo si intende il potere navale coniugato a quello della marina mercantile e alle potenzialità nazionali. Il potere navale è costituito dal fattore della flotta moltiplicato per il fattore delle basi: se le basi hanno un valore nullo allora il potere navale è nullo.

Il valore delle basi dipende dalla loro dislocazione e sicurezza. È evidente che una base come quella di Sebastopoli fosse vulnerabile perché circondata da territorio ucraino e, nella prospettiva russa, dovesse essere messa in sicurezza.

La sfida della strategia marittima è capire come una marina inferiore per numero e potenza possa sconfiggerne una superiore. La strategia navale della flotta più forte è sempre quella di cercare battaglia per sgominare l’avversario una volta per tutte.

Se non si riesce a trascinare il nemico in battaglia allora si attua un blocco dei porti per impedirne il movimento. Una flotta in porto è incapace (o quasi) di reagire. Nel caso dell’Ucraina questo problema non si è posto, perché già da anni la sua flotta è stata sostanzialmente smantellata.

Nell’operazione asimmetrica del 2014, la Russia riuscì a prendere il controllo di molte unità navali ucraine nel porto di Sebastopoli, costringendo quelle superstiti a riparare a Odessa.

Vari alti ufficiali e numerosi marinai ucraini disertarono passando alla marina russa. Questa situazione ha lasciato Kiev praticamente quasi senza una marina militare, regalando il controllo del mar Nero settentrionale a Mosca.

La flotta russa con base a Sebastopoli può invece contare su 21 navi tra incrociatori lanciamissili, cacciatorpedinieri, fregate, navi anfibie e sommergibili. Le immagini satellitari avevano testimoniato il lancio di missili balistici Kalibr dalle fregate russe contro obiettivi in Ucraina.

La nave ammiraglia era l’incrociatore Moskva, affondato dopo essere stato colpito dal fuoco ucraino. Nella versione della propaganda russa, l’esplosione a bordo sarebbe stata invece conseguenza di un incendio, mentre l’affondamento sarebbe avvenuto per una tempesta durante il rimorchio verso Sebastopoli.

Il Moskva era il protagonista dell’episodio sull’isola dei Serpenti, la cui guarnigione ucraina si rifiutò di arrendersi e mandò al diavolo la nave russa.

Si tratta di una perdita dal valore strategico e simbolico enorme per la Russia, forse la più grave dall’inizio della guerra. Il 24 marzo anche la nave d’assalto anfibio russa Saratov era stata distrutta nel porto di Berdyansk, non lontano da Mariupol, da un missile Tochka-U, ma per Mosca anche in quel caso si è trattato di un incidente e non di un attacco ucraino.

Queste gravi perdite per la flotta russa nel mar Nero coprono di imbarazzo le forze armate occupanti e dimostrano la scarsa capacità di coordinamento e difesa. Se Mosca volesse rimpiazzare la sua ammiraglia con nuove navi per mantenere il controllo del litorale dovrebbe farle arrivare dal Mediterraneo e transitare per lo stretto del Bosforo, sotto controllo turco in base alla Convenzione di Montreux.

Ankara può rifiutare il transito di navigli da guerra superiori a un certo tonnellaggio e se non fanno capo a quella base navale. Sebbene la Turchia si sia dimostrata ambigua nei rapporti tra Nato e Russia, è anche nel suo interesse non rafforzare ulteriormente il potere navale di Mosca nel mar Nero.

Attacco anfibio

I marinai russi hanno sicuramente il morale a pezzi dopo l’affondamento dell’ammiraglia, ma anche a causa dell’eliminazione del vicecomandante della flotta, capitano di vascello Andrej Paly, ucciso vicino Mariupol il 20 marzo.

Queste perdite hanno ricadute operative importanti sulla strategia russa, in primo luogo nel tentativo di prendere Odessa. La grande città portuale è ancora saldamente in mano ucraina, che ha respinto l’accerchiamento da Kherson con contrattacchi da Mikolayiv.

Nei piani russi, le direttrici di attacco su Odessa dovevano essere tre: da est, dalla Transnistria a nord e da sud con un assalto anfibio. Tuttavia, le perdite della nave ammiraglia e di una anfibia rendono molto improbabile un attacco, anche perché le acque prospicenti al porto sono state minate dagli ucraini a scopo difensivo.

In dottrina militare, per compiere con successo un assalto anfibio si devono realizzare una serie di condizioni che qui mancano. Inoltre, le truppe da sbarco non riceverebbero alcun supporto efficace da est, né dalla repubblica separatista della Transnistria che, come sottolinea l’istituto Rusi di Londra, dispone di un contingente di 1.500 uomini mal preparati, prevalentemente locali con passaporto russo.

L’idea iniziale del Cremlino era quella di negare completamente all’Ucraina l’accesso al mare, prendendo Odessa per poi congiungersi alla Transnistria. Questi obiettivi massimalisti sono stati ridimensionati con il fallimento della strategia di invasione.

Tuttavia, il blocco costiero ha avuto ricadute importanti per l’economia ucraina e i suoi traffici commerciali, perché l’esportazione di grano e granoturco avveniva prevalentemente via mare.

Tra le cento e le trecento navi con carichi di grano e altre merci sarebbero rimaste bloccate nei porti ucraini a seguito della guerra, con una perdita per l’esportazione di grano di circa 6 miliardi di dollari.

A marzo, primi carichi di granoturco sono stati spediti con treni merci verso la Romania per poi essere stivati nelle navi. Queste rotte alternative, però, sono più costose e non permettono di coprire il fabbisogno alimentare internazionale che l’Ucraina garantiva prima della guerra.

Il fiume Dnipro divide a metà il paese ed è navigabile da aprile a dicembre, è un’importante via di comunicazione fluviale a fini commerciali, ma il suo estuario sbocca proprio dove continuano gli scontri tra invasori e difensori.

Anche per queste ragioni, il mar Nero si conferma un teatro strategico, dove infatti nel 2021 si è tenuta l’esercitazione navale "Sea Breeze”, organizzata dalla Nato con la partecipazione di trenta paesi inclusa l’Ucraina, schierando 32 navi e cinquemila uomini al fine di migliorare l’interoperabilità delle forze.

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