Alla vigilia dell’incontro dei «volonterosi» con Meloni, l’Eliseo battezza «forze di garanzia di seconda fascia». In tutto ciò Bruxelles fa i tutorial sul kit per sopravvivere 72 ore
La Francia che assieme all’Italia ha boicottato il piano Kallas per 40 miliardi di aiuti militari a Kiev – ridotto a 5 miliardi – ha annunciato autonomamente «2 miliardi di aiuti supplementari» con produzione di industrie francesi in Ucraina. Alla vigilia dell’incontro dei volonterosi, che si tiene all’Eliseo con la presenza di Giorgia Meloni, questo mercoledì al fianco di Volodymyr Zelensky il presidente francese ha detto di sentire Trump «praticamente tutti i giorni».
E dopo aver puntato il dito e la vis retorica contro la Russia, che «vuole riscrivere quanto concordato e mostra la volontà di continuare a colpire l’Ucraina», Emmanuel Macron ha chiarito che – a dispetto di quanto i consiglieri di Zelensky invocavano fino a poco prima, cioè soldati «pronti a combattere» – i “volonterosi” stanno organizzando «forze di garanzia di seconda fascia, nel quadro di un accordo di pace, come riserva strategica dissuasiva». L’inviato trumpiano Witkoff aveva derubricato a «tentativi di darsi un tono» gli sforzi europei a riguardo.
Borsetta brussellese
La situazione è grave ma non è seria: sempre questo mercoledì, la commissaria europea Hadja Lahbib ha offerto sui social un tutorial – «Survival edition», come lo ha chiamato lei stessa – su come riempire una borsetta di pelle (a cominciare dalla sua) in caso di emergenza. Tra una risata e l’altra, ha infilato un accendino, un coltellino svizzero, acqua, e così via.
Poco prima aveva lanciato la «strategia prontezza» (Preparedness Strategy) accompagnando riferimenti a un programma «Erasmus + young hero» (Erasmus Plus Giovani Eroi) a racconti delle sue scorte di crisi per fare la pasta alla puttanesca, riferimenti a «una nuova generazione addestrata per intervenire» e cataloghi di tutti i rischi che l’Europa corre, dal cataclisma ambientale alla guerra.
Un’Europa che – stando a come la Commissione la descrive nella sua comunicazione sulla European Preparedness Union Strategy – sarebbe «sempre più vulnerabile ed esposta». Insomma nel tentativo di «prepararci» al fatto che l’intera nostra esistenza sia traducibile in «un campo di battaglia», «pure i telefonini e i social media», Bruxelles sta esibendo una debolezza europea a fini di mobilitazione dell’opinione pubblica. Invece gli altri attori esibiscono piglio aggressivo e prepotenza.
Non è bastato Donald Trump con la sua presentazione del jet da combattimento di ultima generazione, l’F-47, e con la presunzione della «air dominance». E neppure le provocazioni dei Vance (famiglia al completo) sulla Groenlandia o le chat ormai del tutto pubbliche in cui il circoletto trumpiano intima alla «patetica» Europa di sganciare soldi («remunerate»). La mossa a tenaglia per forzare gli europei a cedere riguarda più dossier e più tavoli, i più importanti dei quali sono tenuti fuori dai riflettori. Uno riguarda le trattative in corso sui dazi. L’Ue ha rinviato le sue contromisure e fino a martedì l’uomo ombra di von der Leyen e il commissario Ue al Commercio si sono intrattenuti («per 24 ore intense» come ha scritto Maroš Šefčovič) a negoziare a Washington. Come argomento per portare i trumpiani al tavolo (si rifiutavano di aprire il dossier prima del giorno del bombardamento di dazi previsto il 2 aprile) Šefčovič deve aver portato la sua imminente trasferta a Pechino: qui arriva questo giovedì, con l’ipotesi di riaprire le comunicazioni sui veicoli elettrici.
Guerra commerciale sul tavolo, quindi. E non solo: pure presidiare l’acquisto di armi da parte degli europei è chiaramente nei pensieri di Washington. Tanto che il segretario generale della Nato, l’ex premier belga Mark Rutte, questo mercoledì prima di dirigersi all’Eliseo per l’incontro di «volonterosi» è passato da Varsavia – come già prima di lui ha fatto il Pentagono nelle scorse settimane, quando serviva una sponda filoatlantica tra gli europei e Donald Tusk era in prima fila – e da quel palco ha lanciato un colpo ai piani macroniani di utilizzare l’ombrello nucleare francese per altri paesi europei.
Non c’è bisogno di scomodare luoghi comuni e letteratura sul fatto che gli amici a volte possano essere più insidiosi dei nemici: Rutte viene dalla stessa famiglia politica europea di Macron, che ne ha sostenuto la nomina. Eppure: «Niente può sostituire l’ombrello nucleare americano, (sottinteso) Emmanuel». Frase pronunciata dopo una filippica sul fatto che «non è tempo per andare da soli» e «non si può pensare la difesa europea senza gli Usa».
«Prontezza» e «volonterosi»
«La sicurezza europea è minacciata dai droni visti in Ucraina ma anche da telefonini, social media», ha detto questo mercoledì Lahbib alludendo alla disinformazione: «Tutti questi sono campi di battaglia e minacciano il nostro stile di vita». Una cultura della minaccia che Bruxelles intende diffondere a ogni livello della società – «dall’istruzione al volontariato» – come ha spiegato la commissaria alla preparedness (ex ministra belga) assieme alla vicepresidente Roxana Mînzatu, socialista che in teoria avrebbe dovuto occuparsi di lavoro ma ha una delega alle «competenze» e si ritrova dentro la cornice delle «competenze al rischio» creata da von der Leyen.
Invitata a non parlare più di riarmo secco, la presidente di Commissione mette ora insieme la sua strategia per le spese militari con quella per rafforzare la protezione civile (mentre fa marce indietro sul Green Deal). L’esito è una lista di 30 punti – «azioni chiave» di prontezza – che include «lo sviluppo entro il 2026 di linee guida per rendere la popolazione autosufficiente per almeno 72 ore». Da qui il tutorial della commissaria con borsetta e barretta; perché la situazione sarà anche grave ma non è del tutto seria.
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