Adesso si pente e cerca un accordo con la giustizia per limitare i danni. Ma quando il 6 gennaio scorso invase Capitol Hill assieme a una massa di invasati pro-Trump, l'ex pluri-campione statunitense di nuoto Klete Keller (39 anni) era il più appariscente e riconoscibile dopo il famoso sciamano.

Alto una spanna più degli altri (1.98) e con addosso il giubbotto del team Usa di nuoto (giusto per non farsi riconoscere), Keller è stato fra i primi “rioters” a essere individuati e arrestati quando le immagini degli incidenti sono state passate al setaccio. E a nove mesi di distanza dai fatti la sua vicenda giudiziaria ha raggiunto l'esito di un patteggiamento che fa cadere due delle tre ipotesi di reato. L'ex campione adesso si dice profondamente pentito, si scusa persino coi suoi ex allenatori per averli delusi. Ma la sua storia è anche esemplare del disagio vissuto da un ex campione giunto al successo sportivo nonostante una provenienza familiare molto difficile e poi incapace di adattarsi al post-carriera.

Tutto per il suo presidente

Delle sette ipotesi di reato a suo carico soltanto una è rimasta in piedi. Effetto del patteggiamento raggiunto da Keller con la giustizia Usa. Dovrà pagare soltanto per avere ostruito il passo a un pubblico ufficiale che tentava di ristabilire l'ordine nel caos scatenato dentro e intorno al parlamento Usa dai negazionisti del voto. Keller oppose il gomito al passaggio dell'ufficiale e di quel gesto si riconosce colpevole e di ciò si è riconosciuto colpevole. Nei prossimi giorni si saprà l'entità della pena, ma intanto il New York Times anticipa che fa parte dell'accordo anche una collaborazione alle indagini che gli inquirenti stanno continuando a svolgere sui fatti del 6 gennaio 2021.

Durante quelle fasi convulse Keller si faceva notare per urlare, in pieno Campidoglio, insulti contro Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti, e Chuck Schumer, leader della maggioranza democratica in Senato. Ha anche registrato dei filmati all'interno del Campidoglio col telefono portatile. Salvo accorgersi poi di averla combinata grossa e provare a cancellare le tracce delle sue malefatte distruggendo il telefono e facendo sparire la scheda di memoria assieme al giubbotto che lo rendeva inconfondibile.

Fatica vana. Contro di lui, oltre alle immagini registrate in quelle convulse ore del 6 gennaio, anche i numerosi post sugli account social personali in cui Keller si mostrava trumpiano convinto e radicale, pronto a battersi in qualunque modo per difendere il suo presidente e a farsi ritrarre durante le mobilitazioni pro-Trump.

Ma il coinvolgimento nell'assalto a Capitol Hill è stato per i media statunitensi l'occasione per riscoprire e indagare una figura a suo modo esemplare di ex campione che dopo la carriera agonistica non è riuscito a costruirsi una vita fuori dallo sport, finendo per scivolare in una condizione da disadattato. La stessa in cui sarebbe scivolato molto prima, se non fosse stato per i trionfi raggiunti in piscina.

Una famiglia da America profonda

Il pubblico statunitense ricordava Klete Keller per le sue gesta in gara. Tre partecipazioni olimpiche (Sidney 2000, Atene 2004 e Pechino 2008) e cinque medaglie fra le quali rimane nel ricordo nazionale quella conquistata nella staffetta 4x200 stile libero, in cui disputò l'ultima frazione e piazzò una performance straordinaria che valse alla nazionale Usa il successo contro una squadra australiana che pareva imbattibile.

La carriera di Keller è stata segnata anche da altri successi e riconoscimenti internazionali. Ma chiusa la traiettoria agonistica, la vita del campione è scivolata in un buco nero. Dove sono riemersi i fantasmi dell'infanzia e dell'adolescenza, vissute in condizioni di estrema durezza per essere cresciuto in una famiglia definita “disfunzionale”.

Uno squarcio su quella realtà familiare è stato raccontato da Pat Forde in un lungo articolo pubblicato da Sports Illustrated a un mese dagli incidenti di Capitol Hill. Il passaggio cruciale di quel testo è all'inizio, dove viene riportato un episodio avvenuto nel 1999. Allorché Jon Urbanchek, allenatore di nuoto e responsabile del reclutamento per il college della Michigan University, si recò a Phoenix per far firmare a Kelly e Karen Keller l'accordo che avrebbe permesso di ingaggiare il figlio. E nonostante fossero stati anch'essi atleti ai tempi del college, i genitori di Klete pronunciarono parole di totale sfiducia nei confronti del figlio asserendo che reclutarlo sarebbe stato tempo perso, perché non avrebbe fatto strada.

I signori Keller vengono descritti come una coppia radicalmente di destra, ma di quella destra istintiva e anarchica da America profonda che percepisce in modo diffidente e aggressivo qualsiasi tipo di autorità. L'infanzia e l'adolescenza di Klete sono state descritte come molto complicate e anche il seguito, nuoto a parte, non è stato da meno. Compreso l'abbandono degli studi universitari. In piscina andava tutto bene. Ma conclusa la parabola agonistica, la tara di non essere riuscito a realizzarsi fuori dall'attività sportiva ha inciso profondamente sul suo corso di vita.

Nelle braccia dell'ultradestra 

Come ben spiegato nell'articolo di Sports Illustrated, anche se disputata ai massimi livelli una carriera nel nuoto non garantisce guadagni tali da poterci vivere di rendita, a meno di essere un personaggio alla Michael Phelps. Di questa dura realtà Klete si è reso conto immediatamente.

L'abbandono della carriera agonistica è un potenziale trauma per chiunque, tale da richiedere un'adeguata preparazione psicologica e una buona formazione da spendere professionalmente in campi esterni allo sport. Klete Keller si è dimostrato carente su entrambi i fronti. L'addio alle piscine ha generato un malessere che non è stato ancora estinto. E i tentativi di ricollocarsi nel mondo del lavoro, come egli stesso ha ammesso nel corso di un'intervista rilasciata nel 2018, si sono regolarmente risolti in fallimenti. L'ultima e infelice avventura professionale è stata nel ramo immobiliare, dove Klete ha provato a spendere la figura da ex campione sperando che ciò giovasse agli affari. Obiettivo mancato.

E mentre la sua seconda vita professionale prendeva una china rovinosa anche quella affettiva andava per il peggio. Risulta che egli non abbia più contatti coi genitori dal 2004. I signori Kelly e Karen Keller non hanno mai conosciuto i tre nipoti nati dall'unione fra Klete e la nuotatrice Cari Carr. A dire il vero, stenta a incontrarli lo stesso Klete dopo il tumultuoso divorzio che per un certo periodo lo ha posto in gravissime ristrettezze economiche. Egli stesso ha raccontato che dopo la fine del matrimonio con Cari è stato costretto a dormire in auto per dieci mesi, durante i quali andava a fare la doccia tutte le mattine presso un gym club di cui era membro.

Nella vasta serie di traversie e sconvolgimenti che ne hanno attraversato la vita dopo la fine della carriera, l'ex campione di nuoto ha mantenuto un solo punto fermo: le idee politiche radicalmente di destra. Che con l'avvento di Donald Trump alla presidenza degli Usa hanno trovato un faro, e forse anche un riferimento in mezzo a tante incertezze. È nota la sua stretta amicizia con Eli Bremer, esponente di spicco del Partito repubblicano a Colorado Springs nonché fervente trumpiano. I due giocavano spesso a golf e pare che l'esponente politico avesse accarezzato l'idea di lanciare Klete nella carriera politica, pensando di sfruttare il profilo da ex campione. Poi le cose sono andate diversamente e adesso colui che fu l'eroe della staffetta 4x200 stile libero a Atene 2004 è soltanto un rinnegato, per il quale è stato pure proposto il ritiro delle medaglie per indegnità.

Lui adesso passa il tempo a scusarsi, continuando a dare l'impressione che non si rendesse pienamente conto di cosa stava facendo quel 6 gennaio. Il ritorno di fama è stato devastante e adesso non gli resta che la carta della collaborazione con gli inquirenti per risollevare un minimo la sua posizione giudiziaria. Ciò che gli alienerà anche le simpatie dell'ultra-destra trumpiana. Un uomo sempre più solo, perso dentro un'interminabile tragedia.

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