La Camera argentina ha approvato una legge che legalizza l’aborto entro la quattordicesima settimana di gravidanza. La normativa attuale prevede la concessione dell’aborto solo in caso di stupro o di pericoli per la salute della madre. Il disegno di legge, supportato dal partito del presidente in carica, dovrà ora essere esaminato dal Senato. Non è la prima volta che l’Argentina prova a depenalizzare questa pratica: una legge simile era stata proposta e poi bocciata per pochi voti nel 2018. Rispetto a due anni fa c’è però una differenza non trascurabile: il presidente dell’epoca, Mauricio Macri, era un conservatore e fermo oppositore della riforma.

Un dibattito travagliato

L’Argentina, paese natale tra gli altri di papa Francesco, è uno stato fortemente cattolico e quello dell’aborto è da sempre un tema divisivo come testimoniato dalle manifestazioni che si sono svolte prima del voto che hanno visto proteste sia contro sia a sostegno della proposta di legge. Il dibattito stesso alla Camera è durato venti ore e anche al Senato la situazione non sarà delle più rilassanti visto che il governo può contare su una maggioranza ancora più risicata. La stessa chiesa cattolica è entrata apertamente nel dibattito chiedendo ai politici argentini di «pensare due volte» alle conseguenze di questa decisione. Lo stesso presidente, Alberto Fernández, ha detto di essere articolo, ma di «dovere fare delle leggi che tutelino tutti» ribadendo che quello dell’aborto «è un problema sanitario enorme».

Non solo aborto

Recentemente il governo argentino è stato criticato dai suoi oppositori anche per l’introduzione di una tassa sui patrimoni superiori ai due milioni di euro. La nuova imposta ha l’obiettivo di non far ricadere gli effetti della crisi sui più poveri e di dare un contributo al risanamento dell’economia argentina entrata in recessione nel 2018. Ma i suoi oppositori accusano invece il governo di avere approvato un atto populista che danneggerà l’economia.

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