Il senatore del South Carolina Tim Scott è senza dubbio un uomo politico con nette peculiarità. Innanzitutto, è uno dei rari politici afroamericani con un orientamento politico conservatore che sia riuscito a fare una carriera politica nel profondo sud servendo in entrambi i rami del Congresso.

In secondo luogo, crede sia possibile fare una campagna elettorale incentrata sui valori positivi del conservatorismo, la fede e le opportunità economiche. Inusuale è anche la sua scelta sul luogo nel quale ha lanciato, lo scorso aprile, il suo comitato esplorativo: Fort Sumter, al largo della baia di Charleston, South Carolina. Lì il 12 aprile 1861 vennero sparati i primi colpi della guerra civile americana.

Una nazione «indivisibile», disse Scott, «messa alla prova, ma riuscimmo a prevalere». Scott, quindi, prende come riferimento nobile, pur senza nominarlo, il fondatore del partito repubblicano Abraham Lincoln, all’epoca presidente degli Stati Uniti, in uno stato che è stato il maggior promotore della secessione e dove la bandiera confederata è stata rimossa dal Campidoglio statale soltanto nel 2015.

Scott poi afferma che ora il maggior pericolo sono «i radicali di Joe Biden» che vogliono «distruggere i pioli della scala» che serve per ascendere in società, lasciando le persone «intrappolate in scuole pubbliche cadenti» e sotto «una crescente inflazione». Infine, la chiusa sul fatto che «l’America non sia un paese razzista» perché «io ho vissuto il sogno» e ho «smontato la loro narrazione», conclude Scott.

La “gentilezza” di Trump

Quante possibilità ha una candidatura del genere, specie se il senatore deve competere anche per i voti del suo stato data la candidatura dell’ex governatrice Nikky Haley? C’è un interessante segnale da valutare: se Donald Trump sa essere molto minaccioso con i suoi avversari, veri o percepiti, nel caso di Scott si è complimentato con le sue qualità umane e per il lavoro svolto insieme durante la sua presidenza.

Una “gentilezza” che probabilmente non è disinteressata: agli occhi dell’ex presidente e dei suoi collaboratori Scott contribuisce a dividere ulteriormente il campo dei suoi oppositori, assottigliando il sostegno su cui Ron DeSantis può contare. Non è un caso che lo stesso Trump abbia preferito spendere più in attacchi al governatore della Florida anziché in sostegno ai candidati nello scorso midterm, tra i quali era presente anche Tim Scott, sia pur con una facile rielezione.

Lo stesso Scott però, non si vede così: anzi, ha preparato un blitz di spot sia televisivi che online su cui intende spendere sei milioni di dollari. Difficile che in questi spot decida di attaccare l’ex presidente, innescando una dinamica molto simile a quella delle primarie presidenziali repubblicane del 2015-2016, dove una miriade di candidati troppo impegnati ad attaccarsi reciprocamente venne spazzata via dallo tsunami trumpiano.

Probabilmente l’obiettivo di Scott è un altro. Secondo alcuni analisti punterebbe a conquistare la candidatura alla vicepresidenza sotto Trump, fornendogli la copertura perfetta dalle accuse di razzismo. E sfruttando quello che è un trend degli ultimi anni: la crescita dell’elettorato maschile afroamericano repubblicano.

Alle scorse elezioni di midterm, la percentuale ha toccato il 20 per cento e la presenza di Scott potrebbe continuare ad ampliare i consensi di un eventuale ticket a guida Trump, che senza dubbio lo preferirebbe a Nikky Haley, rea di averlo criticato nei giorni successivi all’assalto del 6 gennaio 2021.

Al netto di queste strategie, Scott appare come l’erede nostalgico di un partito repubblicano del passato remoto, quando rappresentava l’unica formazione politica del profondo sud che accettava l’apporto dei neri quando i democratici erano saldamente favorevoli alla segregazione razziale.

Un richiamo nobile che però porterà ben pochi consensi al senatore, se non una rinnovata visibilità quale “parte ragionevole” di un Gop che continua a essere trumpizzato ai massimi livelli. Un’ala moderata che però svolge un ruolo ancillare nei confronti del trumpismo simile a quello svolto da altri nel 2016. Resta da vedere quale influenza potrà avere Scott su un’eventuale seconda presidenza di Trump. Probabilmente marginale, così come la speranza di riuscire ad aumentare i consensi in una primaria che si è ormai già assestata sui temi di uno scontro personalistico tra l’ex presidente e il governatore della Florida, da combattersi a colpi di slogan e di estremismi ideologici potenzialmente letali quando si dovrà votare nel novembre 2024.

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