L’anno è il 2013. Abbiamo appena preso una tazza di chai che il guardiano di notte ha sempre tenuto in caldo e siamo partiti da Kabul poco prima dell’alba.  Nessuno, nella bella residenza sede della Delegation Archeologique Francaise d’Afghanistan (Dafa), ha detto o chiesto nulla. Abbiamo stabilito di non parlare della destinazione. Anche solo, inavvertitamente la notizia della nostra missione può altrimenti giungere alle orecchie di chi ci vuol male. 

Ogni precauzione è dovuta quando si viaggia verso il Logar regione, tra le più infiltrate dalla presenza talebana. Superati i posti di blocco, la strada incomincia a salire dolcemente mentre l’immensa periferia di piccole case d’argilla che circonda Kabul lascia spazio ai primi colli aridi e rocciosi.  

Verso Kabul 

In this photograph made on Tuesday, Oct. 12, 2010, an Afghan archeologist stands next to the remains of Buddha statues discovered inside an ancient temple in Mes Aynak, south of Kabul, Afghanistan. This archaeological site is located at the world's second-largest unexploited copper mine in Logar province. The Chinese government-backed mining company, China Metallurgical Group Corp., which won the contract to exploit the site, has given archaeologists three years to finish the excavations. (AP Photo/Dusan Vranic)

Kabul è già a 1800 metri di altezza e presto siamo oltre i 2500 di altezza sul livello del mare. Philip Marquis è il capo della Dafa, sono anni che vive a Kabul e anni che gira l’Afghanistan spesso in zone remote come quella dove siamo dirette. La Dafa è l’istituzione occidentale più antica in terra d’Afghanistan, da quando il re Amanullah Khan nel 1920 concesse ai francesi il permesso di effettuare scavi archeologici.

I due pick-up su cui viaggiamo sono pieni di viveri, gomme di scorta, gerbe d’acqua e di nafta. Tutto ciò che ci può servire in caso di emergenza ma anche ciò che serve all’accampamento degli archeologi che da qualche settimana lavorano alacremente sull’ interessantissimo sito archeologico.

Mes Aynak, che “piccolo pozzo di rame”,  è un luogo remoto. A poco meno di 3 ore da Kabul è già un altro mondo. Sono sempre stato attirato dai luoghi in cui in Afghanistan mostra appieno la sua ricchissima stratificazione culturale. Per me è una straordinaria occasione per raggiungere una provincia altrimenti inarrivabile.

Philip e i suoi sono stati chiamati a sbrogliare un affare archeologico che rischia di avere pesanti conseguenze economiche. Proprio sotto l’antico stupa buddista, inizia e si dirama una delle più ricche zone minerarie dell’Afghanistan.

La Cina sempre bisognosa di materie prime ha fatto la più alta offerta e ha stravinto. A regime, quando la miniera sarà attiva produrrà un reddito di 3 miliardi di dollari per una concessione di 30 anni. Il più grande investimento straniero mai realizzato in Afghanistan e la più importante fonte di reddito  per l’esangue stato afgano. Nel 2001, all’atto dell’invasione americana, l’emirato talebano disponeva di un budget di 80 milioni l’anno.

Peccato che, almeno sino a ieri, Mes Aynak  avesse un altro problema. Le zone rocciose sovrastanti consentivano facili imboscate ai Talebani che infatti non avevano mai smesso di bombardare i primi insediamenti cinesi con RPG e mortai.

Il compito di Philip è quello di scavare il più presto possibile, tutte le meravigliose sculture di un piccolo pantheon buddista per dar spazio ai macchinari di miniera. 

Tra le decine di sculture, tutte di terra cruda e quindi particolarmente fragili, quella più preziosa è di un Buddha seduto su un fiore di loto è totalmente ricoperta di foglia d’oro. Tutte le sculture sono in stile di arte Gandhara, un mix di panneggi derivanti dalla scultura greca classica e volti e espressioni provenienti dalla cultura buddhista. Philip è convinto che Mes Aynak sia stata uno dei più importanti centri della via della seta.

Il crocevia di Mes Aynak

This photograph made on Tuesday, Oct. 12, 2010 shows ancient Buddha statues inside a temple in Mes Aynak, south of Kabul, Afghanistan. This archaeological site is located at the world's second-largest unexploited copper mine in Logar province. The Chinese government-backed mining company, China Metallurgical Group Corp., which won the contract to exploit the site, has given archaeologists three years to finish the excavations. (AP Photo/Dusan Vranic)

L’Afghanistan è stato un crocevia per millenni. Le carovane della via della seta hanno trasportato merci e materie dal Pacifico sino al Mediterraneo. Prova ne è che nel Museo Guimet di Parigi nella sezione dedicata agli scavi afgani appare una caraffa di vetro blu a forma di delfino, prodotta dalle parti di Cuma vicino Napoil. In questo crocevia un segno indelebile lo lasciò l’incursione di Alessandro Magno che vinse la sua ultima battaglia proprio oltre il Kyber Pass sulle rive del fiume Indo, prima di ritirarsi verso ovest e morire poco dopo a Babilonia.

In questo fulmineo passaggio lasciò tuttavia una durevole influenza con la costituzione di piccoli regni ellenistici che per secoli dopo di lui hanno battuto danaro in dracme e inciso tavole in greco. L’influenza ellenistica si ritrova su migliaia di affreschi e sculture. Molte delle città afgane gli devono persino il nome (ad esempio l’attuale Kandahar, traslitterazione  di Alessandria Aracosia).

Mes Aynak ospitava una fiorente  comunità di estrattori di rame che si estendeva su quaranta ettari, un intero versante di collina è infatti costellato da scarti della fonditura di rame con cui si forgiavano utensili, monete, monili. Philip mi spiega che molto probabilmente i monti in quell’epoca era molto boscosi e questo spiega il fatto che avevano capacità di alimentare grandi fornaci per estrarre il rame.

La ricchezza archeologica afgana aveva già portato il grande orientalista Giuseppe Tucci a fondare due missioni archeologiche, una non lontana da qui a Ghazni, l’altra dall’altra parte della frontiera in Pakistan, nella valle dello Swat.

Tutti questi luoghi lontani anche centinaia di chilometri l’uno dall’altro facevano parte del regno Gandhara, quello che il re Ashoka fondo nel II secolo prima di Cristo un vasto regno che andava dal subcontinente indiano sino alla Persia, inglobando appunto queste remote province. 

La minaccia dei Talebani

In this Sunday, Jan. 18, 2015 photo, an Afghan Archaeologist cleans around Buddha statues inside a cave in Mes Aynak valley, some 40 kilometers (25 miles) southwest of Kabul, Afghanistan. The hills overlooking this ancient trade-route city, where the buried treasures of Afghanistan’s Buddhist history hide beneath sandy soil, are so rich in copper that they gleam green in the morning sun. (AP Photo/Rahmat Gul)

Intorno al tempio Buddista che giorno dopo giorno si svuota di ogni elemento trasportabile nel Museo di Kabul, sono sorte decine di capannoni in lamiera dal tetto blu (una caratteristica questa, non saprei spiegare il perché, di tutti i capannoni cinesi del mondo). La sede delle operazioni della società mineraria è protetta tutt’intorno come un forte apache, da un infinita muraglia punteggiata da torrette da cui sporgono le inconfondibili canne dell’Ak47.

Persino Hamed, il mio fidato cameraman locale è sorpreso da un tale dispiegamento di forze. Gireremo un pezzo per il Tg1 della Rai. Anche se “fuori dal cono di luce” delle big news, ne verrà fuori un ottimo servizio, ritengo.

Ma la stratificazione di Mes Aynak non si ferma al tempio Buddista e alla miniera di rame. Il nome di questa remota località appare persino nel rapporto 9/11 della Commissione di inchiesta americana sugli attacchi terroristici. Viene citato come uno dei luoghi super segreti per l’addestramento delle milizie di Al Qaeda. La zona ricche di tunnel e caverne aveva tutte le caratteristiche per fornire un perfetto nascondiglio lontano da occhi indiscreti.

I Talebani hanno fatto di tutto per rallentare le attività di proiezione mineraria e il progetto di una linea ferroviaria per istradare il minerale di rame verso i porti del Pakistan, l’unica via di uscita per evitare l’insormontabile catena dell’Hindukush.

Quello che ieri sembrava impossibile potrebbe oggi diventare realtà. La Cina ha già mostrato tutta la sua disponibilità nei confronti del nuovo governo talebano. Così facendo otterrebbe quei vantaggi di sfruttamento economico di risorse indispensabile alla sua industria e al tempo stesso terrebbe sotto controllo la sua grande preoccupazione, ovvero che la comunità di etnia Uigura di origine musulmana non alimenti le sue aspirazioni all’autodeterminazione grazie al sostegno dei musulmani afgani.

Il nuovo governo talebano aprirà varchi nello sfruttamento minerario che sino ad oggi erano rimasti preclusi proprio da quella forma di insidiosa guerriglia che è riuscita in questi anni a rallentare o impedire pressoché ogni forma considerevole di sviluppo e sfruttamento delle risorse del paese.

A meno che, a ruoli invertiti rispetto al passato, non si costituisca una qualche forma di guerriglia armata che di nuovo metta scacco allo sviluppo. Ma questa per ora, come quasi ogni cosa in questo momento in Afghanistan, è solo una remota opzione.

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