Negli ultimi mesi la relazione tra l’Unione Europea e la Repubblica popolare cinese è andata rapidamente deteriorandosi, fino probabilmente a toccare il punto più basso dagli eventi di piazza Tiananmen, nella primavera del 1989. Successivamente alle proteste europee per l’introduzione, da parte di Pechino, di una serie di riforme che minano la legittimità della formula «un paese due sistemi», introdotta al fine di garantire il rispetto delle libertà di base dei cittadini di Hong Kong, il confronto si è spostato sulle presunte violazioni dei diritti umani ai danni dei musulmani della provincia dello Xinjiang.

Su quest’ultimo tema lo scontro è stato totale: il 22 marzo scorso, infatti, l’Unione Europea ha introdotto una serie di sanzioni a carico di quattro funzionari cinesi; la risposta cinese non si è fatta attendere, sostanziandosi in dure misure restrittive – il divieto di accesso alla Cina, Macao e Hong Kong e l’impossibilità di intrattenere rapporti commerciali con Pechino – nei confronti di alcuni eurodeputati, studiosi e think tank del vecchio continente. Tali ritorsioni dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto il tema sia delicato per il regime guidato da Xi Jinping. Queste frizioni hanno contribuito non poco a mettere a repentaglio il destino dell’Accordo sugli investimenti, il cui compimento, dopo oltre sette anni di trattative, avrebbe dovuto rappresentare la pietra angolare del rapporto tra Pechino e l’Unione Europea.

Rivedere gli accordi

Il 20 maggio scorso il parlamento europeo, a cui spettava la parola finale sulla conclusione dell’Accordo, ha deciso di congelarne la ratifica, annunciando che nessuno sviluppo sarà possibile fino a quando la Cina non avrà annullato le sanzioni. Tale decisione è una conseguenza diretta della considerazione sempre più negativa che non solo i principali leader europei – secondo cui nel rapporto con Pechino permangono “divergenze fondamentali” – ma anche l’opinione pubblica più in generale hanno cominciato a nutrire nei confronti della Repubblica popolare cinese. È ovvio, peraltro, che le relazioni bilaterali non si siano inasprite in modo improvviso e inatteso; piuttosto, ambo le parti hanno costantemente ridefinito la percezione dell’altro nel quadro complessivo delle proprie interazioni con l’ambiente internazionale. Ciò è vero soprattutto per l’Unione Europea, la quale, rendendosi conto della prepotente ascesa cinese, ha cominciato, a partire dall’inizio del millennio, a rivendicare la riformulazione del rapporto bilaterale su basi di maggiore equità in ambito commerciale. Aspettandosi, al contempo, che Pechino mostrasse una più ampia considerazione per la democrazia e, soprattutto, per il rispetto dei diritti umani. Tali aspettative, tuttavia, non si sono concretizzate: la Cina, infatti, non ha mai abbassato le barriere poste a protezione del proprio mercato interno assumendo, almeno agli occhi degli europei, un atteggiamento ancor più autoritario. Ciò ha dato origine, in Europa, ad un diffuso sentimento di diffidenza, esploso agli inizi del 2019 quando l’Unione Europea arrivò a definire la Cina come “concorrente economico” e “rivale sistemico”.

Senza ombra di dubbio molteplici sono i fattori che hanno reso particolarmente impervia la relazione bilaterale tra le istituzioni europee e la Repubblica Popolare Cinese. Quest’ultima, tuttavia, sembra non aver pienamente compreso alcune prerogative essenziali dell’Unione Europea. La questione centrale ruota attorno alla scarsa considerazione che la Cina ha sinora nutrito nell’Unione Europea come attore politico di rilievo. Comunque la si guardi, infatti, l’Unione Europea rimane un attore economico di primaria importanza dotato, allo stesso tempo, delle risorse necessarie per influenzare l’ordine internazionale. Attualmente, inoltre, l’Unione Europea ha introdotto il concetto di autonomia strategica – a dimostrazione della sua crescente ambizione – attraverso cui ambisce a giocare un ruolo ancor più centrale nello scacchiere geopolitico. La leadership cinese, tuttavia, non ha riconosciuto le prerogative dell’Unione Europea, continuando a guardare a Bruxelles come ad un fragile monolite attraversato, al suo interno, da numerose incrinature che potrebbero mandarlo in pezzi in qualunque momento. In politica estera, in modo particolare, la Cina ha troppo spesso guardato all’Europa dal punto di vista delle relazioni di questa con gli Stati Uniti, facendo attenzione soprattutto ad evitare che Bruxelles cadesse tra le braccia di Washington. Questa vetusta visione secondo cui le relazioni con gli europei dovessero essere modellate in base alla maggiore o minore prossimità agli Stati Uniti, però, ha finito per impedire a Pechino di comprendere la vera natura dell’Unione Europea.

L’economia non basta

Un’altra questione di assoluta centralità sta nella consueta mancanza di attenzione da parte di Pechino ai valori – democrazia, diritti umani, rule of law – che rappresentano la spina dorsale dell’impianto normativo europeo. I cinesi, d’altro canto, hanno sempre posto più attenzione verso gli aspetti più pragmatici – commercio e investimenti – della relazione con gli europei, essendo persuasi del fatto che ciò avrebbe rabbonito l’atteggiamento di Bruxelles a loro favore. Negli ultimi tempi, però, questo paradigma si è ampiamente trasformato, dato che l’Unione Europea ha efficacemente trasmesso il messaggio secondo cui la relazione bilaterale non debba limitarsi alle sole relazioni economiche e come queste non possano comunque mettere in secondo piano norme o valori internazionalmente accettati. Ciò, ovviamente, infastidisce Pechino, che, da tempo, si è imbarcata in una complessa operazione di costruzione di un’immagine più favorevole nel mondo; quello che la leadership cinese non ha ancora imparato, tuttavia, è che tale sforzo richiede tempo e una notevole dose di pazienza, che include anche la necessità di convivere con le critiche internazionali.

Il rapporto tra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese non è irrimediabilmente compromesso, nonostante i profondi contrasti degli ultimi tempi; ciononostante, Pechino dovrebbe imparare a prendere l’Europa sul serio, considerandola come un partner che può generare una considerevole e positiva influenza sui propri interessi fondamentali.

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