È scontro al calor bianco, seppur a distanza, tra Stati Uniti e Cina su Taiwan. Nancy Pelosi, terza carica istituzionale americana, dopo essere stata platealmente snobbata dal neo presidente sudcoreano Yoon Suk-yeo a Seul per non irritare Pechino, a Tokyo è tornata a usare toni duri: «Gli Stati Uniti non permetteranno in alcun modo di isolare Taiwan».

Pelosi ha fatto una mossa irruente ma forse, in un gioco delle parti, coordinata con la Casa Bianca per motivi ancora segreti. La risposta cinese comunque è arrivata come previsto con nuove esercitazioni sullo stretto di Taiwan. E con le sanzioni imposte alla speaker della Camera.

Il New York Times ritiene che «l’escalation delle tensioni tra Cina e Taiwan potrebbe far scivolare i mercati finanziari globali dalla recessione alla depressione».

In questo quadro molto preoccupante chi sono, diplomaticamente parlando, i “volenterosi amici” di Taiwan? Non la Corea del Sud, come abbiamo visto. Ma uno è nei Baltici, esattamente la Lituania: da mesi Vilnius è un antagonista del Dragone per la sua decisione di aprire uffici di rappresentanza a Vilnius e Taipei.

Taiwan ha solo 15 ambasciate nel mondo ma numerosi uffici di rappresentanza, una spina nel fianco di Pechino che le considera un modo per superare il divieto di avere relazioni dirette con Taiwan in nome del principio dell’unica Cina, al quale pure Vilnius formalmente si attiene.

La piccola Lituania, che ha esperienza su come trattare con il minaccioso gigante vicino, la Russia, ha definito quello che accade nello Xinjiang come un “genocidio” contro gli uiguri, popolazione turcomanna di religione musulmana. Non solo.

Ha dato lo sfratto alla Huawei per rimuovere le proprie infrastrutture del 5G dal suolo del piccolo paese baltico. Insomma mentre l’ex cancelliere tedesca Angela Merkel approvava in tutta fretta un accordo di cooperazione commerciale con Pechino e la Ue durante il semestre di presidenza tedesco nonostante l’opposizione del presidente americano Joe Biden che però non era ancora in carica, Vilnius, novello David contro Golia, inaugurava da sola la linea dura con Mosca e Pechino.

Intanto anche la Slovenia nei mesi scorsi ha annunciato trattative in corso per l’apertura di un ufficio di Taiwan nella sua capitale. Un caso isolato? Difficile dirlo, per ora.

Il Giappone in allerta

Il Giappone ancora scosso dall’omicidio dell’inventore della definizione di Indo-Pacifico, l’ex premier Shinzo Abe, è un sostenitore di Taiwan e della difesa dello status quo.

«Chiediamo l’arresto immediato delle esercitazioni militari», ha dichiarato il premier giapponese Fumio Kishida. Non solo. ll ministro degli Esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, ha dichiarato venerdì che il Giappone rimane aperto al dialogo con la Cina.

Il commento di Hayashi è arrivato dopo che la Cina giovedì ha annullato un incontro tra Hayashi e il suo omologo cinese, che si doveva tenere a margine di un incontro dell’Asean in Cambogia, a causa di una dichiarazione del G7 che esortava Pechino a risolvere pacificamente la tensione su Taiwan.

Insomma, Pechino ha deciso di prendere a pretesto la visita di Nancy Pelosi per assumere una postura più assertiva con Tokyo.

 L’Australia preoccupata

L’Australia, membro del gruppo Quad con Giappone, India e Stati Uniti in funzione anticinese, ha condannato le maxi manovre militari cinesi intorno a Taiwan.

«Il lancio di missili balistici da parte della Cina nelle acque intorno alle coste di Taiwan è sproporzionato e stabilizzante», ha scritto la ministra degli Esteri, Penny Wong.

L’Australia, che assicura di essere in contatto con «alleati e partner», parla di «una questione seria per la regione, compreso il nostro partner strategico, il Giappone».

Germania più filo atlantica

«La Germania sta lavorando per evitare un’escalation nello Stretto di Taiwan con partner internazionali», ha affermato un portavoce del ministero degli Esteri tedesco, aggiungendo che le minacce militari sono inaccettabili.

«La Germania mantiene strette relazioni con Taiwan, che è un partner importante», ha affermato mercoledì il portavoce in una conferenza stampa. Il governo tedesco sostiene una chiara politica "Una Cina" come gli Stati Uniti, ha aggiunto un portavoce del governo che vede la verde Annalena Baerbock, ministro degli Esteri, più schierata, rispetto al governo precedente, al fianco di Washington.

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