María José Pizarro è un’artista plastica e una politica colombiana. Nata a Bogotá, è figlia del fondatore e leader  del Movimento 19 aprile (M-19), Carlos Pizarro Leongómez, assassinato nel 1990 durante la campagna elettorale per le presidenziali in cui era candidato. Parlamentare alla Camera dei deputati tra il 2018 e 2022, è oggi senatora per il Pacto Histórico, la coalizione che l’estate scorsa ha portato Gustavo Petro (anche lui ex guerrigliero dell’M-19) alla presidenza del paese e Francia Márquez alla vicepresidenza. Attivista per la pace, la memoria storica e i diritti delle donne, Pizarro è presidente della Commissione parlamentare di Pari Opportunità ed è una dei negoziatori di pace del governo nel dialogo con l’Ejército de Liberación Nacional (Eln).

Parliamo con lei dell’arrivo della sinistra al governo e della sua accoglienza nella società colombiana, dell’agenda delle donne al centro del dibattito politico, del nuovo ministero di Pari Opportunità, delle donne artefici del cambiamento in sud America, del conflitto armato in Colombia con le donne vittime principali e della “pace totale”.

Per la prima volta la sinistra è al governo: come sta reagendo la società colombiana?
Quella colombiana è una società polarizzata, è come se ci fossero due nazioni, una che accompagna questo processo di cambiamento e l’altra che gli si oppone. In questo primo semestre proporrremo un pacchetto di riforme sociali e abbiamo convocato la società civile perché lo sostenga con una mobilitazione non solo di piazza ma in tutti gli spazi della vita quotidiana.

Lei è senatora per il Pacto Histório, prima era deputata alla Camera: è cambiato il dibattito parlamentare con Petro presidente?
Moltissimo, perché prima come forze progressiste eravamo un’infima minoranza. Poi siamo riusciti ad avanzare in quella coalizione di movimenti progressisti che ci ha portato a cambiare completamente la composizione del Congresso e ora siamo la forza politica maggioritaria. Oggi abbiamo una compagine di governo molto più solida, la composizione del Congresso è molto più democratica e ciò implica un maggior dibattito sulle riforme. Sappiamo che ciò che proponiamo non sarà approvato per intero, ma questo è il risultato di un dibattito democratico nel Congresso, mentre prima c’era solo l’imposizione di una forza maggioritaria sulle altre.

Lei è presidente della Commissione parlamentare di Pari Opportunità, qual è l’agenda del neonato ministero di Eguaglianza?
Innanzitutto, per la prima volta nel Congresso la discussione sull’agenda delle donne è divenuta prioritaria. Francia Márquez ha l’enorme responsabilità di costruire la struttura del ministero di Eguaglianza per superare molteplici diseguaglianze, non solo basate sul genere, ma anche quelle etniche, tra popolazioni e tra territori. È un mandato molto ampio quello che riceve la vicepresidente, con il quale speriamo di superare l’emergenza relativa alle violenze di genere e ai femminicidi. L’agenda delle donne è molto presente in tutti gli ambiti sociali del paese. Questo è un risultato importante, dovuto non solo all’arrivo del governo progressista, ma anche all’approdo delle donne al Congresso e agli spazi di decisione. Ciò ha implicato una sinergia tra diverse voci femminili che si è rivelata potente.

Il ministero dell’Eguaglianza si basa sul principio dell’intersezionalità: che significa?
Oggi abbiamo i principali ministeri, delle Miniere ed Energia, dell’Ambiente e dell’Eguaglianza, guidati da donne. Generare una cooperazione tra queste tematiche sarà una grande opportunità. Ciò che noi dobbiamo fare dal parlamento, è costruire un’agenda che sia sinergica in materia di costruzione della pace, di superamento delle diseguaglianze e di lotta contro il cambio climatico. L’intersezionalità è avere una visione ampia che permetta alle donne di esprimersi su tutti i temi che affliggono la società per generare trasformazioni valide per tutti.

È passato un anno dalla sentenza della Corte costituzionale colombiana che depenalizza l’aborto fino alla 14ma settimana.
Grazie alla lotta delle organizzazioni delle donne e delle femministe abbiamo ottenuto la depenalizzazione dell’aborto. Purtroppo, però, il Congresso non è apparso pronto ad affrontare la sua regolamentazione. Nonostante la sentenza della Corte, il diritto all’aborto non è una realtà nei servizi sanitari del paese, le donne non possono accedervi in modo libero e sicuro. Perciò dobbiamo approfittare di questo anniversario, perché si regolamenti la depenalizzazione dell’aborto, perché le donne possano accedere, in modo libero e senza barriere, a un diritto che un anno fa la Corte ha garantito.

Un recente rapporto di Amnesty International denuncia le violenze sulle donne delle forze dell’ordine durante l’estallido social.
È un rapporto importantissimo perché conferma quanto avevamo sostenuto come donne: ossia che, nei centri di detenzione, le donne sono state abusate sessualmente, subendo differenti tipi di violenza di genere da parte delle forze dell’ordine, da toccamenti a molestie verbali, da molestie psicologiche ad abusi sessuali. Che questo sia stato riconosciuto, dà un mandato chiaro per generare all’interno delle forze militari una cultura che le converta in una forza per la pace, piuttosto che per la guerra, com’è sempre stato. Nel caso delle forze di polizia, è necessaria una formazione sulla violenza di genere, ma anche una presa di coscienza sul fatto che l’integrità delle donne dev’essere protetta pure nel quadro delle mobilitazioni. Che i corpi delle donne non possono essere utilizzati per disincentivare la protesta sociale che è un diritto costituzionale.

Perché in sud America il cambio è guidato dalle donne, dal collettivo Lgtbi e dalle comunità indigene?
Perché sono i collettivi più esclusi. Le donne sono state discriminate, le donne indigene, contadine, le donne nere, trans, sono collettivi da sempre esclusi e dimenticati, nel senso che non sono esistite politiche per superare le diseguaglianze. In qualche modo si assiste ora a un risveglio collettivo delle donne del sud America che esigono di avere un ruolo centrale nella trasformazione, reclamano processi progressisti con volto di donna. Oggi, per la prima volta, c’è una vicepresidente afro-colombiana, ci sono diverse leadership femminili, le donne sono presenti nei processi di negoziazione, e questo è un fatto irreversibile. Abbiamo preteso che la pace non si negozi solo tra gli uomini che hanno fatto la guerra, perché noi abbiamo molto da dire sulla costruzione della pace.

Lei è una dei negoziatori di pace del governo nel dialogo con l’Ejército de Liberación Nacional. Che cos’è la paz total di Petro?
La pace totale non è solo il negoziato con l’Eln, l’ultima guerriglia con un’origine politica. Ma implica anche la ricerca di un avvicinamento con altre strutture armate, con i dissidenti delle Farc che tornarono alla guerriglia o non aderirono agli accordi di pace col governo nazionale, con strutture di origine paramilitare. Si sono costruite distinte modalità in funzione dell’origine e le caratteristiche dei gruppi. C’è una legge di Sottomissione collettiva alla giustizia che sta per arrivare in discussione al Congresso, secondo cui anche i gruppi che non hanno un’origine politica possono aderire a un modello di sottomissione collettiva. Ci sono altre strutture armate, che noi definiamo bande pluricriminali o di grande impatto, presenti soprattutto nelle grandi città del paese e con un’alta partecipazione di giovani, per cui si stanno definendo modalità di avvicinamento affinché possano sottomettersi alla giustizia. Ossia, non è un cessate il fuoco bilaterale, ma un cessate il fuoco multilaterale.

Per garantire la vita e avanzare nella concretizzazione di un processo di pace completa nel nostro paese, per cui la violenza non si ricicli traducendosi in violenza sempre più degradata. Si tratta, infine, di cambiare la lotta contro le droghe. Fino a che non si cambi questo modello, non potremo difendere la conservazione ambientale, fermare la deforestazione, né superare la violenza in cui sono immerse la società colombiana e, con le multinazionali del narcotraffico, i paesi di transito come il Messico o quelli del centro America. Né affrontare in modo efficace il flagello che angustia le società europee e Nordamericane come paesi consumatori di cocaina.

La Commissione sulla Verità colombiana ha concluso i lavori segnalando i decenni di guerra che ha vissuto il paese.
È una realtà che le donne denunciano da tempo, soprattutto le organizzazioni delle donne vittime del conflitto. Ci sono stati diversi rapporti sul conflitto armato colombiano, delle donne, del Centro Nazionale di Memoria Storica e ora c’è la relazione della Commissione sulla Verità. Per superare la violenza bisogna, da una parte, consolidare una pace totale. E, dall’altra, va operata una riparazione con un approccio femminile: bisogna cioè risarcire le donne, risarcire la società colombiana nel suo insieme, ammettendo però che le donne sono state colpite in modo molto peculiare. Riconoscendo le metodologie di resistenza, di memoria, di costruzione della pace e del dialogo che le donne hanno sviluppato e che oggi sono patrimonio della società colombiana e dell’umanità.

Quanto è pesato sulla sua formazione essere la figlia del leader del Movimento 19 aprile?
Moltissimo, non solo la sua figura, ma il gruppo di donne e uomini, mia madre... In termini ideologici, nel raccogliere una bandiera, essere coerenti con quegli ideali. E oggi nel materializzare un governo che è il frutto di quel movimento: la proposta progressista che è arrivata al potere in Colombia è la proposta dell’M-19, che va consolidandosi nel paese da 50-60 anni. Noi siamo una generazione distinta, siamo i figli e le figlie di quelli che hanno lottato. Raccogliamo quelle bandiere con uno sguardo nuovo, alla luce del nostro tempo. È un grande orgoglio, un grande onore. Mio padre morì facendo la pace e non la guerra e oggi ho la responsabilità di concludere il compito per cui lui fu assassinato.

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