La sensazione che la Corea del Nord volesse mandare un chiaro segnale agli americani e ai loro alleati asiatici era evidente: la visita della vicepresidente Kamala Harris in Corea del Sud, avvenuta la settimana scorsa dopo la tappa in Giappone per i funerali di Shinzo Abe, era stata, del resto, aperta dal lancio di due missili immediatamente prima del suo arrivo e chiusa subito dopo la sua partenza nello stesso modo.

Nel corso della sua permanenza nella capitale sudcoreana, Harris, oltre a riconfermare l’impegno assoluto degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza degli alleati asiatici, ha fermamente condannato le azioni del regime dei Kim e la minaccia da questo rappresentata verso la stabilità regionale, dicendosi convinta che l’unica soluzione possibile sia costituita dallo smantellamento completo dell’arsenale nucleare nordcoreano.

Esercitazioni e provocazioni

Tutto ciò avveniva mentre in quella zona si sviluppavano una serie di esercitazioni militari che Pyongyang ha sempre considerato come particolarmente minacciose e, a conti fatti, una sorta di prova generale di un’invasione ai suoi danni tesa a decapitare il regime: dapprima le marine sudcoreana e americana hanno effettuato le usuali esercitazioni congiunte che, per la prima volta dal 2017, hanno coinvolto la portaerei nucleare Uss Ronald Reagan, e, successivamente, americani, sudcoreani e giapponesi hanno condotto, dopo uno iato di cinque anni, una serie di esercitazioni trilaterali anti sottomarino al largo della costa orientale della penisola coreana.

La tensione, già particolarmente alta, è stata esacerbata nelle ultime ore dal lancio, da parte nordcoreana, di un ennesimo missile a medio raggio (dal sito di Mupyong-ri, nei pressi del confine con la Repubblica popolare cinese) che, per la prima volta negli ultimi cinque anni, ha sorvolato il Giappone prima di inabissarsi – dopo un tragitto poco superiore ai venti minuti – nel Pacifico, rappresentando una minaccia reale nei confronti dell’arcipelago nipponico.

Allerta giapponese

Le autorità giapponesi, oltre a bloccare temporaneamente i treni nelle regioni di Hokkaido e Aomori, sono state costrette a inviare un “J-alert”, un messaggio telefonico di allerta, a tutti i residenti delle regioni nella parte nordorientale del paese, comunicando loro di allontanarsi tempestivamente dalle proprie abitazioni e recarsi verso gli appositi rifugi.

La condanna delle autorità politiche giapponesi, in primis il primo ministro Fumio Kishida, è stata netta ed è stata accompagnata dalla solidarietà dell’intera comunità internazionale. La questione sostanziale che crea scompiglio è relativa al fatto che la classe di vettori come quello del recente lancio ha una gittata potenziale di circa 4mila chilometri e, quindi, metterebbe a repentaglio l’incolumità dell’isola di Guam, territorio statunitense e importante centro d’azione degli americani nel Pacifico occidentale.

Proprio per scongiurare questo genere di eventualità, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol – ultraconservatore che ha vanificato gli sforzi tesi all’impegno diplomatico portati avanti dalla amministrazione precedente, preferendogli una postura più muscolare votata a una chiara deterrenza – ha dichiarato che la risposta alla provocazione nordcoreana deve essere «risoluta», evidenziando, peraltro, come queste azioni non facciano altro se non rendere ancora più intima la collaborazione di Seul con Washington in ambito di sicurezza.

Obiettivo: instabilità

Le ragioni del lancio effettuato dalla Corea del Nord potrebbero essere, come al solito, molteplici. Alcuni hanno evidenziato come Pyongyang stia tentando di sfruttare l’instabilità della situazione internazionale, messa a dura prova dalla guerra in Ucraina.

È importante sottolineare come lo scorso maggio la Cina e la Russia abbiano impedito, per la prima volta in assoluto, che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite introducesse nuove misure sanzionatorie ai danni della Corea del Nord.

Tale decisione ha ovviamente fatto molto piacere a Pyongyang, che si è, forse inaspettatamente, trovata a raccogliere i frutti del confronto tra l’asse sino-russo e l’occidente. Anche per questa ragione, la Corea del Nord non ha avuto alcuna remora a riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranità di Donetsk e Lugansk, dicendosi pronta a collaborare attivamente con loro, così come con la Russia di Putin, mediante l’invio di lavoratori in quelle zone.

Il fattore clima

È più probabile, comunque, che alla base del lancio del vettore ci siano aspetti “pratici”: normalmente, infatti, i nordcoreani non effettuano lanci missilistici nel periodo estivo, quando le condizioni atmosferiche sono particolarmente avverse, riprendendo i test proprio nella stagione autunnale. In aggiunta, è plausibile che i tecnici nordcoreani abbiano bisogno di comprendere in quale modo la tipologia di razzo usato reagisca alle sollecitazioni: dato che si tratta di vettori a gittata medio-lunga, è facile pensare che usarlo su distanze limitate e con un apogeo più contenuto possa dare delle indicazioni di massima sulle reali potenzialità del missile.

Al principio di quest’anno, il leader Kim Jong-un aveva dichiarato che il paese si sarebbe impegnato al fine di continuare a sviluppare nel modo più rapido possibile il proprio programma nucleare: il test effettuato qualche ora fa potrebbe essere inserito proprio nell’ambito di questo avanzamento della tecnologia bellica.

C’è da aspettarsi, quindi, che il recente lancio non sia nient’altro se non l’antipasto di una portata più succulenta per il regime, dato che esso è in possesso di alcuni razzi balistici intercontinentali non ancora testati alla loro potenza massima.

È però verosimile che le prossime mosse – a inclusione di un nuovo test nucleare, i cui preparativi si trascinano ormai da lungo tempo – possano eventualmente svilupparsi solo dopo il 16 ottobre, giorno in cui il congresso del Partito comunista cinese si riunirà per incoronare Xi Jinping “imperatore” per la terza volta di fila. Fare ombra a Xi Jinping, infatti, non solo sarebbe sconveniente, ma potrebbe rivelarsi anche molto pericoloso per il regime dei Kim.

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