Tutte le strade portano al numero uno di First Street. È la sede della Corte suprema degli Stati Uniti che, come in altri passaggi chiave della storia, si trova al centro del dibattito politico e della culture war che caratterizza un paese sempre più polarizzato.

E ancora una volta la domanda, prima che sul merito di un caso, è di metodo: qual è il confine fra un legittimo esercizio del potere demandato dal controllo di costituzionalità e il suo eventuale abuso?

Nel caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, discusso oggi pomeriggio, a essere sul banco degli imputati è la storica decisione nel caso Roe v. Wade del 1973 che ha costituito uno spartiacque politico e giudiziario garantendo il diritto all’aborto.

La legge del Mississippi

Nel 2018 lo stato del Mississipi ha approvato una legge che dichiara illegali gli aborti praticati dopo le 15 settimane dalla gravidanza. È una sfida diretta a Roe e alle sentenze successive come Planned Parenthood v. Casey che, sostanzialmente, hanno sancito la legittimità dell’aborto fino a quando il bambino non sia in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno (di solito tra la ventiquattresima e la ventottesima settimana).

Oggi a First Street era il giorno delle grandi occasioni per chi era fisicamente in aula e per tutti quelli che sono intervenuti presentando delle memorie alla Corte. Scorrendo i nomi degli autori delle memorie è possibile rendersi conto della rilevanza del caso. Sono intervenuti davanti alla Corte intellettuali ed organizzazioni di primo piano: la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Mary Ann Glendon, Robert George, John Finnis, Reva Siegel, Human Rights Watch, Amnesty International, 236 membri del Congresso degli Stati Uniti.

Il compromesso di Roberts

La discussione orale cominciata alle 10 del mattino (ora di Washington) non ha deluso le aspettative. Secondo le tradizioni della Corte non sono ammesse le telecamere, per cui non abbiamo immagini e video, ma solo le tracce audio delle posizioni dei giudici e degli avvocati.

Le immagini della discussione avrebbero potuto offrire elementi utili a valutare il linguaggio non verbale dei giudici che, spesso, quando entrano in camera di consiglio per decidere, riservano sorprese. Non sappiamo se sarà anche questo il caso.

Una prima valutazione della discussione sembra suggerire la volontà del capo della corte, John Roberts, di trovare un compromesso, magari diminuendo il numero di settimane dalla gravidanza entro cui sarebbe possibile ricorrere all’aborto.

Gli altri giudici membri della maggioranza conservatrice della Corte sono apparsi però decisi nel tracciare una linea sulla giurisprudenza precedente. È apparsa questa la posizione soprattutto di Samuel Alito, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barret.

Con le loro domande sono sembrati inclini a suggerire che un eventuale ribaltamento di giurisprudenza potrebbe creare una situazione in cui a decidere potrebbero essere i singoli stati e che una eventuale decisione in tal senso non avrebbe un impatto su altre decisioni relative ai diritti civili, come ad esempio quella relativa al riconoscimento del diritto al matrimonio dello stesso sesso.

La soluzione di Roberts sembrerebbe essere quindi quella di salvare la legge del Mississippi senza ribaltare esplicitamente Roe. Non può tuttavia raggiungere questo risultato senza portare a bordo qualche giudice della maggioranza conservatrice.

E il tono degli interventi degli altri giudici di nomina repubblicana oggi non è sembrato conciliante verso il chief Justice. Nei minuti successivi alla chiusura della discussione numerosi attivisti dei gruppi pro life hanno pubblicato sui loro account Twitter una frase rivelatrice delle prime sensazioni: «Il movimento pro life dovrebbe essere felice dell’esito della discussione odierna davanti alla Corte suprema. Possiamo contare sei voti a favore della legge del Mississippi e tra i cinque e i sei a favore del ribaltamento della giurisprudenza precedente a partire dal caso Roe. Solo il giudice Sotomayor ha difeso gli argomenti più estremi dei gruppi pro choice».

Roberts ci ha spesso sorpreso per la sua capacità di saper tenere unita la Corte nella sua dimensione istituzionale, senza farla trascinare con forza nell’agone della politica. Dopo la discussione di oggi, questa sua missione sembra più difficile. A giugno del 2022 probabilmente sapremo se il giurista di Buffalo sarà riuscito nel suo intento.

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