C’è una luce in fondo al tunnel del conflitto che si combatte da decenni nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e che dall’inizio dell’anno ha visto una durissima recrudescenza. Anzi due.

La prima è che lo scorso 25 aprile, a seguito di un incontro a Washington organizzato dal Segretario di Stato americano Marco Rubio, Rdc e Ruanda hanno concordato di redigere un accordo di pace entro il 2 maggio e si sono impegnati a rispettare la sovranità reciproca e ad astenersi dal fornire sostegno militare ai gruppi armati.

Nella capitale statunitense erano presenti il ministro degli Esteri della Rdc Therese Kayikwamba Wagner e il suo omologo ruandese Olivier Nduhungirehe. L’incontro, tesissimo, con i due leader che non si sono mai stretti la mano, ha però segnato una vera svolta e ha portato, seppure tra sguardi in cagnesco, a una firma.

i colloqui a Doha

La seconda fiammella, che in qualche modo è stata propedeutica alla prima, sono stati i colloqui tenutisi a Doha, capitale del Qatar, dalla metà di marzo – inizialmente con la presenza del presidente congolese Félix Tshisekedi e dell’omologo ruandese Paul Kagame – che, qualche giorno prima della firma a Washington, hanno portato i ribelli dell'M23 (la milizia filo-ruandese che da gennaio ha conquistato Goma e Bukavu capitali del Kivu del nord e del sud, ndr) ad annunciare un cessate il fuoco. Nelle prossime settimane, secondo fonti ufficiali, dovrebbero cominciare negoziati più serrati sempre in Qatar per un accordo di pace più ampio e duraturo.

Sebbene il Ruanda abbia sempre negato di essere dietro le operazioni dell’M23, la sua complicità, il sostegno militare e la condivisione di strategie di conquista di siti estrattivi strategici sono ormai conclamati.

Dall’inizio del 2025 i miliziani dell'M23 sono avanzati rapidamente e senza trovare reale resistenza hanno conquistato subito Goma e Bukavu a febbraio.

Si calcola che siano state uccise almeno 7.000 persone e che gli sfollati siano centinaia di migliaia solo nelle province orientali del Nord Kivu e Sud Kivu e dell’Ituri. Tra questi, quasi la metà, (oltre 400mila) sono bambini. E proprio sulla situazione dei piccoli giungono notizie agghiaccianti: secondo l’Unicef è stato violentato «un bambino ogni mezz'ora» tra gennaio e febbraio scorsi nell'est del Congo, e fino al 45percento dei circa 10mila casi di violenza sessuale denunciati nella zona di conflitto in quei due mesi ha coinvolto bambini.

Il portavoce dell'agenzia dell’ UNICEF, James Elder, ha denunciato che il tasso di violenza sessuale nella Rdc contro i bambini «non è mai stato così alto» ed ha aggiunto che lo stupro «È un'arma di guerra e una tattica deliberata di terrore» e che le cifre potrebbero essere «solo la punta dell'iceberg, nascosta sotto strati di paura, stigma e insicurezza».

Il ruolo degli Usa

L’ingresso così deciso dell’amministrazione Trump nel ginepraio congolese viene interpretato da vari osservatori come un tentativo di assicurarsi risorse fondamentali del settore energetico, prime fra tutte cobalto e coltan, di cui la Rdc è straricca e che fin qui hanno visto una netta influenza cinese.

Non a caso il segretario di stato Rubio ha descritto l'accordo come "win-win" per tutti – non solo Rdc e Ruanda - e ha fatto intendere che potrebbe sbloccare importanti investimenti sostenuti dagli Stati Uniti nel settore energetico e minerario. Come riporta Al Jazeera il nuovo inviato degli Stati Uniti in Africa, Massad Boulos, ha recentemente visitato entrambe le nazioni e ha esortato Kigali a smettere di sostenere l'M23 e a ritirare le truppe.

Se fosse dipeso dall’M23, in realtà, in piena salute e con il controllo ormai assodato da quattro mesi abbondati delle due grandi città di Goma e Bukavu e aree circostanti, l’avanzata non si sarebbe dovuta fermare né si sarebbe dovuti giungere ad alcuna tregua.

L'analista Martin Ziakwau Lembisa ha detto a France Press che solo la pressione degli Stati Uniti, a cui, in una mossa disperata, si è rivolto di recente Tshisekedi, ha spinto M23 e quindi il Ruanda verso la diplomazia, «altrimenti i miliziani sarebbero andati avanti». La questione è, data l’erraticità della amministrazione Trump e lo scarso interesse per questioni africane in generale, «fino a che punto gli americani continueranno a essere davvero coinvolti».

Dal 2021, anno in cui l’M23 ha con sempre maggiore frequenza sconfinato in Congo e conquistato avamposti, Ruanda e Rdc hanno concordato almeno sei tregue ma nessuna ha retto. Ad aumentare la diffidenza di alcuni osservatori, inoltre, si aggiungono notizie di violazioni già avvenute da quando l’M23 ha dichiarato la cessazione temporanea delle ostilità

Come riporta il New York Times, Fred Bauma, direttore esecutivo dell'istituto di ricerca congolese Ebuteli, ha definito la dichiarazione congiunta Rdc-Ruanda «senza precedenti». Ma è sempre lui a gettare acqua sul fuoco delle speranze quando afferma che «il governo di Kinshasa continua a dare priorità all'idea di sconfiggere militarmente l'M23 con ogni mezzo. E temo che entrambi gli attori puntino su una futura escalation».

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