La Sicomines, la joint-venture mineraria tra la Cina e la Repubblica democratica del Congo, è un simbolo di quegli accordi che hanno attirato su Pechino l’accusa di neo-colonialismo. In base a quanto sottoscritto nel 2007 dall’ex presidente Joseph Kabila, cobalto e rame estratti nella Rdc vengono trasportati in Cina in cambio della costruzione di infrastrutture nel grande stato africano: un patto enormemente vantaggioso per la seconda economia del pianeta.

Per rinegoziare questa intesa ieri è arrivato a Pechino (dove si tratterà fino a lunedì prossimo) il successore di Kabila, Félix Tshisekedi che – come altri leader del Sud del mondo – proverà ad “approfittare” dell’urgenza che la Cina ha di rafforzare le sue catene di approvvigionamento per ottenere vantaggi per il suo paese, che con un reddito pro capite di circa 500 dollari è tra i più poveri al mondo.

Oltre che di rame e oro, il Congo ha enormi riserve di cobalto, del quale – con il 41 per cento – è il principale produttore globale. Le élite di Kinshasa sono consapevoli che le ricchezze del Congo hanno oggi per la Cina un valore strategico, e dunque hanno la possibilità di riequilibrare le relazioni con Pechino.

Batterie made in Kinshasa?

In particolare, c’è attesa per vedere se Tshisekedi – che il 20 dicembre dovrà affrontare la prova delle urne – riuscirà a strappare a Pechino investimenti manifatturieri, invertendo il lungo trend dei massicci trasferimenti in Cina delle risorse locali. La ministra delle Miniere, Antoinette Nsamba Kalambayi, ha spiegato che il Congo «vuole sviluppare una catena del valore per la produzione di batterie per veicoli elettrici, che dovrebbe controllare dall’estrazione, alla lavorazione, alla produzione, fino all’assemblaggio».

Nell’incontro con il ministro degli Esteri, Christophe Lutundula, che ha preparato l’arrivo di Tshisekedi, il suo omologo cinese, Qin Gang, ha garantito il «pieno sostegno agli interessi chiave per uno sviluppo tranquillo dei legami Cina-Repubblica democratica del Congo».

Le compagnie cinesi controllano il 68 per cento di Sicomines e oltre l’80 per cento delle miniere di cobalto congolesi. Qualche mese fa un ingegnere minerario, Cui Bing, in un articolo pubblicato dalla rivista cinese Mining Technology ha rivelato che, grazie a un capillare sistema di sensori e telecamere, i manager a Pechino monitorano in diretta dai loro smartphone la produzione delle miniere congolesi e impartiscono ordini ai dirigenti degli impianti.

Sicomines, istituita quando ancora non c’erano le auto elettriche né gli smartphone – prevede la commercializzazione di cobalto e rame in cambio della costruzione di strade, scuole e ospedali per 3,2 miliardi di dollari e di un investimento altri 3 miliardi di dollari in progetti minerari nella provincia del Katanga. Ma il governo di Kinshasa accusa la controparte di non aver rispettato i patti. Secondo un documento pubblicato nel febbraio scorso dall’ispettorato generale delle finanze, le società cinesi hanno sfruttato risorse minerarie per un valore di 10 miliardi di dollari, ma hanno costruito infrastrutture per soli 822 milioni di dollari. Il rapporto chiede a titolo di compensazione ulteriori progetti per un valore di 17 miliardi di dollari.

L’ambasciata cinese a Kinshasa ha protestato contro il documento, definito «pieno di pregiudizi», ma la realtà è che il presidente Xi Jinping, il premier Li Qiang e gli altri leader del partito comunista che lo incontreranno in questi giorni, dovranno venire a patti con Tshisekedi.

E il motivo è semplice: il cobalto è un componente chiave nelle batterie al litio per veicoli elettrici e nell’elettronica, e oltre il 60 per cento del cobalto utilizzato da questi settori trainanti l’industria cinese arriva proprio dalla Rdc. A spingere la richiesta di cobalto è il mercato cinese dell’automotive, che nel 2022 ha venduto 6,9 milioni di veicoli elettrici o ibridi (il doppio del 2021, la metà di quelli acquistati in tutto il mondo), i cui produttori, favoriti dai sussidi di stato, ora si stanno affacciando nei mercati nazionali delle concorrenti europee e nipponiche.

Catl si prende i giacimenti

Per assicurarsi forniture costanti e sicure di cobalto, le compagnie cinesi produttrici di batterie puntano a controllare indirettamente i giacimenti congolesi, entrando nell’azionariato delle società che hanno joint-venture locali.

Il principale produttore mondiale di batterie è Catl, con quartier generale a Ningde, nella provincia costiera del Fujian. L’azienda, che nel 2022 ha realizzato profitti per 4,4 miliardi di dollari, ha appena acquisito il 25 per cento di Cmoc Group, che a sua volta detiene l’80 per cento di Tenke Fungurume. Secondo le accuse dei congolesi, nella gigantesca miniera a cielo aperto nel sud del paese, al confine con lo Zambia, Cmoc ha sottostimato le riserve per pagare meno royalties a Gecamines.

Tutta questa ricchezza, in un paese da decenni instabile, va protetta. Per questo a Pechino il presidente Tshisekedi potrebbe chiedere aiuto ai leader cinesi per combattere i guerriglieri attivi nelle province orientali del Kivu. Con 216 uomini impegnati sul terreno, la Cina è tra i minori contributori della Monusco, la missione di pace delle Nazioni Unite che in Congo impiega oltre 17.000 persone e il cui mandato sottolinea che il traffico illegale di risorse naturali nell’est del paese è tra le cause principali del protrarsi del conflitto armato. Una guerra che, secondo i cinesi, giustifica il trasporto (per alcuni la “spoliazione”) del cobalto dalla Rdc, per metterlo al sicuro ed effettuare in Cina tutte le successive fasi di lavorazione.

Secondo Christian-Geraud Neema, un analista minerario congolese di The China Global South Project, i cinesi hanno fornito droni e altre armi al governo di Kinshasa, e la visita di Tshisekedi «potrebbe rappresentare un’opportunità per il presidente di acquisire più armi per rafforzare la sua lotta contro i ribelli M23 nella Rdc orientale».

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