Il Centro servizi del partito per la promozione degli affari a Jing’an occupa un locale fronte strada tra l’antico tempio buddista della setta esoterica Tangmi e il night club in art déco Paramount, in una delle aree più trafficate del centro di Shanghai. Nell’agenzia si possono consultare offerte di lavoro, annunci di uffici in affitto, si può usufruire del wi-fi, stampare documenti e leggere – su divani sormontati da un ritratto di Xi Jinping – i testi dei leader politici, tra cui l’immancabile Governare la Cina, summa di discorsi del segretario generale che si appresta a ricevere dal XX congresso un inedito terzo mandato a guidare il Partito comunista e il paese.

Anche a Jing’an l’assistenza gratuita viaggia di pari passo con l’indottrinamento, come nei “centri per la pratica della civilizzazione della nuova era” spuntati come funghi negli ultimi tempi in Cina. Si tratta di strutture con funzioni diverse (ricreative, professionali, caritatevoli), ma che operano tutte sotto la supervisione della Commissione centrale di indirizzo per la costruzione della civilizzazione spirituale che, assieme al Gruppo dirigente centrale per la propaganda e il lavoro ideologico, dà forma all’ideologia ufficiale che viene disseminata dal Dipartimento di propaganda attraverso le sue innumerevoli diramazioni territoriali.

Il denaro non basta più

A partire dagli anni Ottanta, in Cina si è fatta largo l’idea secondo cui “arricchirsi è glorioso”: con quello slogan Deng Xiaoping accompagnò le riforme di mercato che contribuirono a spoliticizzare una società alla quale Mao, con la rivoluzione culturale, aveva imposto una devastante fuga nell’utopia.

Tuttavia lo stesso “piccolo timoniere”, all’indomani della repressione del movimento di Tiananmen, riconobbe che «durante gli ultimi dieci anni, l’errore più grosso lo abbiamo compiuto nel campo dell’educazione, anzitutto quella ideologica e politica, non soltanto degli studenti ma del popolo in generale». E il suo successore, Jiang Zemin, iniziò a rivalutare quel confucianesimo a cui Mao aveva dichiarato guerra in quanto fondamento del vecchio ordine feudale.

Ma è con Xi Jinping – dopo che il partito ebbe assistito alle “rivoluzioni colorate” nell’Eurasia post sovietica all’inizio degli anni Duemila – che il tentativo di ridare alle masse un inquadramento ideologico è tornato d’attualità.

Con il XVIII congresso che dieci anni fa affidò la segreteria a Xi, il gigantesco apparato propagandistico del partito si è mobilitato per promuovere i dodici “valori fondamentali del socialismo” (prosperità, democrazia, civiltà, armonia, libertà, uguaglianza, giustizia, stato di diritto, patriottismo, dedizione, integrità, affabilità).

Questo pot-pourri di princìpi morali confuciani, marxisti e nazionalisti viene continuamente aggiornato, per tenerlo al passo con le trasformazioni della società. E, secondo le linee guida del Pcc, «deve essere introdotto nei curriculum e nelle classi, diventare il modo di pensare degli studenti». L’agenzia Xinhua chiarisce che internet, i notiziari, le case editrici, le radio, le televisioni e il cinema «sono incoraggiati a rafforzare l’autodisciplina e ad accrescere il loro senso di responsabilità e la loro capacità di promuovere i valori fondamentali del socialismo».

La sovranità digitale

Costruire – anche grazie alla “sovranità digitale”, ovvero al controllo di internet – una grande muraglia ideologica per impedire la diffusione in Cina dei valori della democrazia liberale: il tentativo di imprimere al paese una svolta ideologica è reso possibile perché con Xi Jinping, da un punto di vista organizzativo, il Partito comunista cinese è tornato a essere un partito leninista.

La tendenza, manifestatasi soprattutto durante l’amministrazione di Hu Jintao (2002-2012), a concedere una certa autonomia alla società è stata invertita, e i funzionari del Pcc sono tornati a dettare la linea nelle scuole, nelle università e sui luoghi di lavoro.

Gli ideologi più eminenti di Xi sono Wang Huning e Huang Kunming, entrambi tra i 25 componenti dell’ufficio politico del partito e rispettivamente presidente e vicepresidente sia della Commissione centrale di indirizzo per la costruzione della civilizzazione spirituale sia del Gruppo dirigente centrale per la propaganda e il lavoro ideologico.

Wang è un intellettuale per tutte le stagioni: ideatore della teoria delle “tre rappresentanze” di Jiang Zemin, del “socialismo scientifico” di Hu Jintao e, infine, del “sogno cinese” di Xi Jinping, rielaborato in forma più compiuta nel “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, inserito sia nello statuto del partito, sia nella Costituzione dello stato.

Dal 2017 Wang occupa il quinto posto della nomenklatura del Pcc e il prossimo congresso potrebbe concedergli un ulteriore avanzamento. Diversamente dalla maggior parte degli amministratori diventati leader del Pcc, Wang è un accademico prestato alla politica. Diventato a 30 anni il più giovane professore (di Relazioni internazionali) della prestigiosa università Fudan di Shanghai, ha visitato decine di città degli Stati Uniti. Nel saggio America Against America ha previsto il crollo degli Usa in quanto democrazia liberale costruita sull’individualismo e non sul collettivismo.

La presunzione della “superiorità” del sistema cinese e dei suoi valori è comune a Huang Kunming, un fedelissimo del segretario generale, promosso a capo del dipartimento di propaganda del Pcc nel 2017, quando al XIX congresso nazionale Xi Jinping ha proclamato l’avvento di una “Nuova era”.

Huang inaugurò il suo prestigioso incarico con un articolo sul Quotidiano del Popolo nel quale ha accusato «alcuni paesi occidentali» di utilizzare la loro superiorità mediatico-tecnologica per diffondere i «cosiddetti valori universali». Secondo il numero 24 dell’ufficio politico, questi paesi «stanno cercando di convincere le persone del fascino dell’Occidente e a uniformarsi all’Occidente, indebolendo o addirittura abbandonando la loro identificazione con la propria cultura spirituale». Il congresso che si aprirà domenica prossima potrebbe far salire anche a Huang qualche gradino nella gerarchia del Pcc.

In un articolo pubblicato negli ultimi giorni su Qiushi (il giornale di teoria politica del partito), Xi ha sostenuto che il paese «non è mai stato così vicino» al conseguimento del suo “grandioso risveglio nazionale”. Ma – ha puntualizzato – «nelle nuove circostanze storiche dobbiamo perseverare con grande spirito di sacrificio, il nostro partito deve essere unito per guidare il popolo ad affrontare efficacemente grandi sfide, difendersi da grandi rischi, superare grandi barriere e risolvere grandi contraddizioni».

I film patriottici

A partire dalla presidenza Trump la leadership cinese ha smesso di fidarsi degli ex partner statunitensi e il Partito comunista ha scommesso sulla contrapposizione ideologica con l’occidente.

Nella Cina del rallentamento economico e dello scontro commerciale-tecnologico con gli Stati Uniti, tra i «valori fondamentali del socialismo» il patriottismo sta diventando il collante principale che tiene unito il partito al suo popolo.

Durante la settimana di festa iniziata il 1° ottobre il campione d’incasso ai botteghini (163 milioni di dollari) è stato Wanli guitu (“Ritorno a casa”) La pellicola celebra il valore e l’amor patrio di Zong Dawei e Cheng Lang (quest’ultimo interpretato dall’idolo dei teenager cinesi Wang Junkai), i diplomatici che nel 2011 riuscirono a evacuare dalla Libia sconvolta dalla guerra civile oltre 30mila cittadini cinesi in due settimane. Anche un anno fa a trionfare ai botteghini era stato un film patriottico, La battaglia del lago Changjin, sulle gesta eroiche di un gruppo di soldati dell’Esercito popolare di liberazione che combatté contro gli Stati Uniti nella Guerra di Corea.

La Cina che sta prendendo forma sotto la leadership di Xi Jinping è un paese che celebra la sua cultura millenaria, i suoi continui viaggi nello spazio e i suoi miti patriottici, più chiuso alle influenze occidentali. Si tratta di un cambiamento epocale, accelerato dalla guerra commerciale-tecnologica dichiarata dagli Stati Uniti e dall’isolamento che la leadership del partito ha imposto ai cinesi per non importare contagi dall’estero.

Nei prossimi anni i cinesi saranno indotti sempre più a diffidare dei valori dell’occidente, i cui leader d’altra parte da qualche tempo hanno preso a dividere in due il mondo: le “democrazie” da una parte e, dall’altra, le “autocrazie”.  

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