La linea del fronte decisiva è il mar Nero. E nello scontro non ci sono solo Russia e Ucraina

Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla linea del fronte russo-ucraino, sulla regione di Pokrovsk e sulle pretese russe di prendere in un modo o nell’altro l’intero Donbass, sembra che stia finendo nel dimenticatoio il carattere strategicamente marittimo della guerra in Ucraina. Quello del controllo della sponda nord del Mar Nero è un aspetto tanto importante quanto trascurato del conflitto. Perché dopo il fallimento russo dei primi mesi di guerra, dopo il tramonto dell’ipotesi di un governo fantoccio a Kiev, il perdurare dell’attacco russo ha un sostanziale obiettivo finale: ridurre l’Ucraina a un assetto territoriale che ne farebbe potenzialmente uno stato fallito. Alleanza Atlantica o non Alleanza Atlantica, se l’Ucraina fosse esclusa dal Mar Nero e fosse ridimensionata – sui lati nord, est e sud – a una lingua di terra circondata da Bielorussia e Russia, il suo futuro sarebbe molto più facilmente indirizzabile al ruolo di paese-satellite. E comunque, ridotta così, sarebbe un boccone molto più agevole da digerire in un eventuale secondo tempo della guerra. Se anche la caduta di Pokrovsk è un capitolo della guerra ibrida in Ucraina Insicurezza reciproca Questo aspetto dello scontro è molto chiaro a entrambe le parti in causa. Molti dei successi bellici ucraini riguardano proprio gli attacchi verso la flotta russa del Mar Nero. La Russia ha perso dozzine di imbarcazioni, compresa la nave ammiraglia, la “Moskva” (Mosca). L’evoluzione tecnica del conflitto, l’uso dei droni, ha degradato la capacità operativa della marina russa e l’ha costretta spesso a ripiegare nel più sicuro porto di Novorossijsk. Ma l’insicurezza dei mari è reciproca, perché anche Kiev ha dovuto sospendere per lunghi periodi il commercio del grano (prima del 24 febbraio 2022, il 50 per cento del traffico era via nave), ha dovuto cercare vie alternative e ha cambiato radicalmente la sua logistica. Tutto questo senza peraltro recuperare i livelli prebellici. Di più: ormai l’insicurezza è talmente forte che altri attori importanti stanno rinunciando a operare in zona. A inizio dicembre, a largo del Senegal, quattro esplosioni hanno scosso la petroliera turca M/T Mersin. La società di gestione della nave, la Besiktas Denizcilik, ha per questo annunciato la cessazione di tutte le operazioni di spedizione con la Russia. Ucraina, la missione di Witkoff è fallita. E adesso i negoziati ripartono da zero Obiettivi diversi Obiettivo dichiarato ucraino è la flotta fantasma russa (quella che aggira le sanzioni sul petrolio). Obiettivo russo è neutralizzare completamente il nemico. Il 2 dicembre, anche in risposta agli attacchi ucraini alle petroliere russe, Putin ha dichiarato che l'esercito russo amplierà i suoi attacchi contro i porti ucraini e le navi che vi fanno scalo. Aggiungendo un avvertimento molto importante: «L’opzione più radicale è quella di tagliare fuori l’Ucraina dal mare. A quel punto sarà impossibile per lei dedicarsi completamente alla pirateria». Il blocco di Očakiv, Odessa, Čornomors’k, o del porto fluviale (Danubio) di Izmail, è in cima alla lista dei desideri del Cremlino. D’altra parte, l’ultima versione dottrina del mare russa – documento dell’agosto del 2022 che sostituisce quello del luglio 2015 – include il Mar Nero in tutte le tre aree «importanti per la tutela degli interessi nazionali della Federazione Russa» (che appunto sarebbero, oltre al Baltico e agli oceani che lambiscono il paese, il Mediterraneo orientale, il Mar Nero propriamente detto e il Mar d’Azov). Parallelamente, l’Europa ha presentato, alla fine dello scorso maggio, la sua nuova strategia per il Mar Nero. Nemmeno a dirlo, il primo punto è la sicurezza, ovvero lo sviluppo di un centro europeo per la sicurezza marittima: un hub in grado di proteggere infrastrutture critiche (cavi sottomarini, porti, piattaforme), di coordinare operazioni di sminamento e pattugliamento, di monitorare con satelliti e strutture subacquee, di rafforzare la mobilità militare, in sintesi di prevenire qualsiasi conflittualità, in particolare quella di forma ibrida. Nonostante l’affermazione nero su bianco che «l’approccio strategico dell’Ue alla regione del Mar Nero non rappresenta una risposta regionale isolata alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina» (excusatio non petita, accusatio manifesta), è evidente che strategicamente tutto ciò dovrebbe servire soprattutto a scavalcare la Russia, a creare un corridoio privilegiato verso il Caucaso e l’Asia centrale, cioè paesi come l’Armenia, la Georgia, l’Azerbaigian, la Turchia. L’Ue non accetta la “pax americana” e rimane sola L’occhio della Turchia Si tratta, in generale, di stati che hanno verso Mosca conti aperti di diverso tipo. Quanto alla Turchia, la dottrina del mare “Blue Homeland” (la patria blu) la impegna a cercare di massimizzare la propria influenza – già fortissima per il presidio degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, e il diritto, in base alla Convenzione di Montreux, di limitare l’accesso al Mar Nero alle flotte militari di stati non-litoranei – e nel contempo bilanciare le potenze concorrenti nell’area. Non c’è dunque bisogno di aggiungere che un eventuale controllo russo di tutta la sponda nord del Mar Nero non sarebbe visto di buon occhio da Erdoğan. Ma arrivati a questo punto, la tensione, anche per compensare le sofferenze ucraine rispetto al fronte di terra, sale sempre di più. Il 4 dicembre, in relazione ai continui attacchi alle navi in acque internazionali, l’ambasciatore ucraino ad Ankara e l’incaricato russo nella stessa capitale turca, rispettivamente Nariman Celal e Aleksej Ivanov, sono stati convocati presso il ministero degli Affari Esteri turco. Sono ormai tanti i danni che i droni navali ucraini (Sea Baby e Magura V5) stanno facendo al largo delle coste del Mar Nero. A novembre, la Russia non è riuscita a rispettare gli obiettivi prefissati e i programmi di spedizione di greggio attraverso i principali porti del Mar Nero (il terminal del Caspian Pipeline Consortium (Cpc) e il vicino porto di Novorossijsk). I volumi di esportazione sono stati di circa 1 milione di tonnellate inferiori a quelli messi in preventivo (stando a quanto riporta Reuters, dovevano essere 3,2 milioni di tonnellate e ne sono partite solo 2,5 milioni). Il grande gioco del sultano Erdogan, la Turchia neo ottomana si avvicina al confronto con Israele Traffici e simboli Tutto ciò danneggia Mosca ma danneggia anche parti terze, come ad esempio il Kazakistan. Il traffico di petrolio e gas è decisivo per la Russia e tuttavia lo è anche per la Turchia. Il fatto che l’Ucraina metta nel mirino e fuori uso imbarcazioni come la Kairos e la Virat – battenti bandiera gambiana e capaci di trasportare fino a 70 milioni di dollari di petrolio – non è esattamente ciò che va incontro alle esigenze di Ankara. In sintesi, è nel Mar Nero che la guerra ucraina vive più pienamente il suo carattere di scontro totale. E non potrebbe che essere così. A San Pietroburgo, non lontano dall’Ermitage, c’è il suggestivo Museo navale centrale russo, che nelle sue diverse sedi conta 700.000 pezzi e 2.000 modelli di nave. Dentro c’è il “nonno della marina russa”, la San Nicola, simbolicamente la prima nave della marina russa: un relitto inglese che Pietro il Grande scoprì in un vecchio magazzino del nonno e mise a nuovo grazie a un carpentiere olandese. Da lì, inizia la storia del rapporto della Russia imperiale con il mare. Tutte le forze dello zar si concentrarono a sud, dove occorreva rafforzare – nel mar Nero e nel mar d’Azov – la presenza russa. La prima flotta con porti e cantieri nacque lì. E lì ancora oggi cerca di giocare il suo ruolo decisivo.