Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, il consesso di capi di Stato e di governo dell’Ue chiamato a definirne l’agenda politica, ha presentato venerdì mattina la sua proposta di base negoziale (in gergo, la “nego box”) in vista del Consiglio straordinario che inizierà tra una settimana, il 17 luglio. Il tema sul quale i leader dei 27 Stati membri cercano una convergenza è il piano per la ripresa legato alla crisi Covid, che viene discusso insieme al bilancio pluriennale (2021-2027) dell’Unione.

Cosa c’è in gioco. Il presidente Michel è l’arbitro del negoziato: spetta a lui disegnare la cornice per un compromesso e perciò deve arrivare all’appuntamento del 17 con una bozza di proposta sulla quale arrivare a un accordo. La mediazione ha l’obiettivo di ravvicinare i paesi che con più veemenza chiedono un intervento dell’Unione (tra i quali Italia, Spagna e Francia, che spingono per un supporto rapido e ampio) e quei paesi del Nord ricco d’Europa (che includono Austria, Olanda, Svezia, Danimarca, e che sono spesso citati come “i frugali” o i “frugal four”) che vorrebbero ridurre gli sforzi condivisi, sia per quel che riguarda le dimensioni dei fondi che per la loro natura (preferiscono i prestiti ai trasferimenti a fondo perduto).

Michel anzitutto fa sua la proposta della Commissione europea: nella sua “nego box”, il Recovery Fund (il “fondo di ristoro” dettato dalla crisi Covid) mantiene l’importo totale di 750 miliardi, con la stessa proporzione tra sovvenzioni (500 miliardi) e prestiti (250). Per le dimensioni quindi la proposta del presidente va incontro ai desiderata dei paesi come l’Italia, che chiedono un intervento incisivo. Ma le aperture ai nordici ci sono eccome, in termini di concessioni economiche che ammiccano a loro, e soprattutto per la governance dei fondi.

Nella visione di Michel, l’utilizzo delle risorse a fondo perduto da parte degli Stati si lega a un maggiore controllo da parte del Consiglio sulle politiche adottate da quei paesi.

Controllare i fondi (e le riforme). L’apripista del gruppo dei frugali, e cioè l’Olanda, preme per un controllo severo sulle riforme e sulle scelte di spesa che dovranno effettuare i paesi beneficiari dei fondi (cioè la fetta da 500 miliardi complessivi). Il presidente del Consiglio nella sua proposta asseconda almeno in parte questo approccio: i piani nazionali per l’utilizzo dei soldi devono essere approvati dal Consiglio, e a maggioranza qualificata (cioè 55% dei 27 paesi, e che rappresentino almeno il 65% della popolazione Ue), con un “potere di freno” effettivo quindi per i frugali.

Uno Stato membro deve preparare il suo recovery plan, il suo piano di ristoro, presentando le riforme e gli investimenti che intende fare per il 2021-23; entro due mesi da quando viene presentato, il piano nazionale passa al vaglio della Commissione. Per essere giudicato positivamente un paese deve tener conto delle raccomandazioni di Bruxelles - non solo quelle per l’anno corrente, ma in generale di quelle recenti. Per l’Italia, ad esempio, potrebbe significare riforme del sistema pensionistico, della giustizia, del lavoro. Crescita, creazione di posti di lavoro, ma anche transizione verde e digitale, sono elementi importanti per avere semaforo verde. A questo punto - dopo che le riforme “spinte” da Bruxelles hanno ricevuto il benestare dei commissari - intervengono gli altri Stati, perché Michel rivendica una approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio dei capi di Stato e governo. Insomma i “frugal four” avranno modo di dire la loro.

Le altre novità. A loro favore vanno anche alcuni segnali del presidente: anzitutto, i frugali vincono la partita sui cosiddetti “rebates”, meccanismi di compensazione per Stati che contribuiscono alla spesa comune più di quanto ricevano. Austria, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia continueranno a ricevere questi rimborsi ad hoc, secondo una tradizione avviata dai tempi di Margaret Thatcher, che rivendicò queste “correzioni” sul bilancio in virtù del fatto che la Gran Bretagna, a suo dire, versava per la politica agricola comune ben più di quanto le tornasse indietro.

Quanto al bilancio pluriennale 2021-2027 poi, mentre la quota di “ristoro” rimane in linea con la proposta della Commissione, la componente “tradizionale” del bilancio (ad esempio la cooperazione internazionale e il programma per innovazione e ricerca Horizon) risulta un po’ sforbiciata (cioè 1074 miliardi, 26 in meno rispetto ai disegni iniziali), con l’argomento che gli obiettivi soliti sono in parte riassorbiti dalla nuova iniziativa.

Compare invece un nuovo fondo di compensazione per Brexit del valore di 5 miliardi, rivolto ai paesi e ai settori più colpiti dall’uscita del Regno Unito. Il piano di ristoro, in teoria, oltre a compensare i danni subiti dalle nazioni più colpite dalla crisi Covid, dovrebbe anche indirizzare i paesi europei verso un nuovo modello di sviluppo, digitale e soprattutto a favore dell’ambiente.

Un futuro verde. La quota stabilita da Michel nella sua “nego box”, e cioè un 30% di programmi comuni diretto a obiettivi ambientali, si avvicina - ma non del tutto - alle richieste espresse in queste settimane da ong come Greenpeace, che punta al 40% (e a criteri di allocazione dei fondi il più possibile stringenti a favore dell’ambiente). Tra le novità, ci saranno nuovi meccanismi per aumentare le risorse proprie dell’Unione, promuovendo - ancora - verde e digitale, e cioè una leva finanziaria che penalizza il mancato riciclaggio della plastica da applicare già a gennaio, una sorta di tassa per produzioni a uso intensivo di carbone e una digital tax comune.

Il premier olandese Mark Rutte che è il capofila dei rigoristi commenta ora che “la proposta di Michel rappresenta un miglioramento”, un apprezzamento che fa da contraltare alla prudenza del fronte opposto; il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola chiede infatti di “completare il negoziato con una decisione all’altezza della sfida”.

I leader si incontrano il 17 e chissà quando usciranno dalla sala dei negoziati.

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