A volte basta una sentenza per cambiare lo scenario politico, se questa riguarda i limiti dei finanziamenti alle campagne elettorali. In questo caso si parla della sentenza Citizen United v. Fec del 2010, nella quale una risicata maggioranza di giudici (5 giudici di orientamento conservatore contro 4 progressisti) ha abolito le leggi che allora limitavano le donazioni alle campagne politiche.

Il motivo è che i limiti al sostegno politico posti da norme come quelle della Legge McCain-Feingold avrebbero violato un diritto fondamentale. Come dire: il denaro che sostiene un candidato è libertà di parola.

Questo ha aperto l’era dei megadonatori che hanno un’influenza enorme sulle campagne elettorali. Uno di loro ha addirittura contribuito a cambiare il modo in cui le campagne elettorali sono costruite: Robert Mercer, grande sostenitore di Donald Trump, ma non solo.

Nerditudine

Il background aziendale non di Mercer è quello classico del finanziatore dei repubblicani. Niente petrolio, armi o industrie chimiche, ma nerditudine e informatica. Coetaneo dell’ex presidente (e anche di Clinton e Bush Junior), sin dagli anni Sessanta aveva mostrato un peculiare interesse per i computer e l’informatica, tanto da studiarla a fondo fino al conseguimento del dottorato di ricerca nel 1972 presso l’università dell’Illinois.

Un lavoro in Ibm, dove ha realizzato delle importanti applicazioni nell’ambito del riconoscimento vocale, fino al 1993, dove entra a far parte di un hedge fund, fondato da un altro scienziato come lui, il matematico James Harris Simons, che preferiva cooptare soci provenienti dalle scienze “dure” anziché dalle business school o dalle facoltà di economia.

Mercer però aveva delle idee politiche precise. Credeva che il libero mercato fosse minacciato, così come i diritti di proprietà, da parte di uno stato e di un sistema bancario centrale sempre più invadente. Una concezione di libertà economica da difendere ad ogni costo.

Crede che il Gold Standard, abolito da Richard Nixon nel 1971 con l’introduzione della valuta fiduciaria, fosse molto meglio per gestire in modo responsabile le finanze americane.

Non è l’unico argomento su cui crede che fosse meglio il passato: anche la legge sui diritti civili del 1965 che garantisce agli africani il diritto di voto è stato un errore, anche perché ormai, secondo quanto rivelato da un ex dipendente al New Yorker nel 2017, secondo Mercer esistono solo «razzisti neri».

Chissà se lo ha spiegato a un gruppo conservatore di afroamericani da lui finanziato nel 2015 con 400mila dollari, Black Americans for a Better Future, diretto da Raynard Jackson, ex consulente delle campagne elettorali di Bush padre e figlio.

Risentimento bianco

Questa concezione è un pilastro di quel “risentimento bianco” che è il motore politico principale del partito repubblicano trumpizzato. Non ci sono stati soltanto dei precursori congressuali, come l’allora senatore dell’Alabama Jeff Sessions, ma anche mediatici.

Curiosamente, ma non troppo, molto di quello che è successo dopo ha avuto inizio nella California dov’è nato Mercer, con la fondazione di Breitbart nel 2007.

Il nome della testata, che oggi è divenuta sinonimo di destra radicale americana, deriva dal giornalista Andrew Breitbart, che lo ha creato insieme a un’altra figura ben nota del futuro mondo trumpiano, Steve Bannon.

Secondo un documentario della Pbs del 2017, Bannon’s War, la lettura quotidiana di Breitbart ha radicalizzato le idee di un altrimenti moderato miliardario newyorchese, il futuro presidente Trump.

Era il combattente che Bannon cercava, dopo l’errore di aver puntato su una Sarah Palin più interessata alla partecipazione a talent show come il Cantante Mascherato.

E il suo sostenitore Mercer certo non è stato con le mani in mano, ma ha sborsato molto per le campagne elettorali repubblicane: nel 2010 si è unito al network conservatore dei fratelli Charles e David Koch, grandi finanziatori del Tea Party, dopo la sentenza Citizen United completamente liberi di donare a tutte le cause liberalconservatrici di loro gradimento.

Ma Mercer ha anche idee più stravaganti, come si vede dalle campagna che ha sostenuto nel decennio precedente. Dagli spot politici critici sulla costruzione di una moschea nei pressi di Ground Zero a New York fino ai Doctors for Disaster Preparedness, un gruppo di medici fondato durante la guerra fredda per costituire una milizia anticomunista in caso di invasione e diventato un circolo reazionario di negazionisti dell’Aids e del cambiamento climatico.

Ma anche l’appoggio a Fred Kelly Grant, un attivista conservatore dell’Idaho che voleva cambiare le leggi sulla protezione dell’ambiente e la battaglia per la reintroduzione della pena di morte in Nebraska.

Nel 2016 Mercer raggiunge il suo apogeo: sostiene i primi due candidati repubblicani alle primarie, Donald Trump e Ted Cruz. Quest’ultimo era stato presente a un meeting a Jackson Hole, nel 2015, dove aveva dichiarato il suo appoggio a al Gold Standard, il vecchio pallino di Mercer.

Con l’elezione di Trump, ha piazzato due sue persone di fiducia, Kellyanne Conway e Steve Bannon nel cuore dell’amministrazione. Per completare quello smantellamento del welfare state a cui tanto avrebbe aspirato.

La figlia Rebekah

Le cose, ovviamente, non sono andate così, e da qualche anno Mercer ha ceduto lo scettro delle attività politiche alla figlia Rebekah, che ha rotto con Steve Bannon e ha cercato di dare alla fondazione di famiglia, la Mercer Family Foundation, una patina di maggiore rispettabilità dopo anni nei quali il nome di Mercer era collegato a posizioni politiche estreme.

Ciò non vuol dire che si sia ritirata dalle cause in cui hanno creduto: nel 2018 ha fondato il social network “senza censura” Parler, in breve tempo diventato il ritrovo preferito di tutti quei commentatori conservatori che sono presi di mira dalle regole delle maggiori piattaforme.

Non è sempre filato tutto liscio, per la famiglia Mercer: dopo che il loro nome era emerso nell’inchiesta dei Paradise Papers, quest’anno ha dovuto siglare con l’Irs, l’agenzia delle entrate americana, un gigantesco accordo per sanare il debito pregresso di tasse evase per 7 miliardi di dollari. Una cifra mostruosa anche per i trascorsi del socio più noto, Donald Trump.

Anche Parler si è dovuto piegare e ha posto qualche limite all’hate speech, ma questo ha fatto sì che comunque potesse tornare sui maggiori store online, dopo che lo scorso gennaio era stato rimosso per essere stato utilizzato in modo massiccio dagli assalitori del Congresso durante il processo elettorale.

Adesso sembrano avere abbandonato Trump al loro destino. Non sappiamo se è per preparare il terreno a qualcuno di più radicale, come potrebbe essere il governatore della Florida Ron DeSantis o il giornalista di Fox News Tucker Carlson.

Del resto, la riservatezza è sempre stata una caratteristica di famiglia.

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