La nuova Siria dei rifugiati: «Costruiamo un paese forte»

Damasco – I suoni dei clacson e delle marmitte delle moto sono incessanti. Ogni arteria di Damasco è congestionata. Giovani a cavallo sfilano vicino ai marciapiedi. Dai finestrini delle macchine i bambini guardano incuriositi il caos intorno a loro mentre sventolano le bandiere della Siria. I taxi scassati si ingegnano per trovare ogni via libera possibile. Le celebrazioni per il primo anniversario della caduta del regime di Bashar al Assad sono iniziate da giorni. Ma non sono paragonabili alla giornata dell’anniversario, l’8 dicembre. Anche solo accedere alla piazza è complicatissimo. In più occasioni si è diffuso il panico con donne e bambini spintonati dalla forza del flusso. Il palco allestito in piazza degli Omayyadi è inavvicinabile. Le forze di sicurezza messe in campo dal presidente Ahmed al Sharaa sono imponenti. A ogni metro ci sono ragazzi giovanissimi con l’Ak47 in mano che sorvegliano la massa ingestibile. E man mano che ci si avvicina al cuore della piazza, aumentano di grado ed equipaggiamento. Sopra il ministero della Difesa, quello bombardato dall’Idf lo scorso luglio ci sono dozzine di agenti e cecchini. Evitare ogni problema di sicurezza pubblica è la priorità in queste celebrazioni, per tutelare l’immagina esterna e trasmettere il messaggio che la Siria post Assad è un luogo sicuro per investitori e stranieri. La ricerca a Sednaya Samira Khaled Mahmoud viene dalla campagna di Homs. Tiene in mano con orgoglio la foto di suo figlio Mahmoud. La mostra a chiunque si avvicina con curiosità. «Appena saputa la notizia della fuga di Assad ho pianto. Siamo andati subito a Sednaya», racconta. Il carcere è diventato il simbolo della repressione sanguinaria della famiglia Assad. Suo figlio Mahmoud Faizi Shawish aveva solo 25 anni quando è stato arrestato. «Abbiamo cercato ovunque ma non lo abbiamo trovato», dice. Samira Khaled Mahmoud insieme Mahmoud Faizi Shawish (foto di Youssef Hassan Holgado/Domani)

[Missing Credit] Seduto vicino a Samira c’è l’altro suo figlio più grande. Si chiama Mohammed, ha problemi alle gambe e fatica a rimanere in piedi; quindi, seduto sul marciapiede, osserva il flusso incessante di persone che vanno verso la piazza. Entrambi hanno il volto scavato dal dolore. «Quando è caduto il regime ho pianto. Non riuscivo a crederci. Sono sceso in piazza solo il giorno dopo», dice Mohammed. «Mio fratello – spiega – è stato arrestato nel 2020 dalla Quarta divisione». È un’unità militare affiliata a Maher al Assad, fratello di Bashar al Assad. «È stato poi mandato nel carcere di Saydnaya. Questo è tutto ciò che sappiamo di lui. Lo abbiamo cercato a lungo nel carcere e ovunque, ma non siamo riusciti a trovarlo né a ottenere alcuna informazione su di lui». Oggi per Samir è un giorno di «grande gioia». «Fin dall'inizio della rivoluzione, speravamo che Bashar al Assad cadesse, indipendentemente da quanto tempo fosse rimasto al potere, perché noi, il popolo, non lo volevamo. Alla fine, lo abbiamo costretto ad andarsene e abbiamo vinto», dice mostrando un sorriso. «Abbiamo sofferto molto», continua Mohammed che è un fiume in piena e ha tanta voglia di parlare dopo anni di silenzio. La sua casa è stata saccheggiata e fatta saltare in aria dalle forze militari governative. Lui e la sua famiglia sono stati costretti a trasferirsi a Damasco. Quando Assad è scappato in Russia dal suo alleato più fedele, Vladimir Putin, Mohammed si trovava in Turchia. Sono tornato immediatamente nel mio paese». Siria, un anno senza Assad: la festa e il mistero del presidente al Sharaa Prova di forza TOPSHOT - This handout photograph released by the official Syrian Arab News Agency (SANA) on December 8, 2025, shows Syria's President Ahmed al-Sharaa speaking while attending prayers at Umayyad Mosque in Damascus during the anniversary of the ousting of longtime ruler Bashar al-Assad. President Ahmed al-Sharaa on December 8 urged Syrians to work together to rebuild their country as they marked a year since the ousting of longtime ruler Bashar al-Assad. Sharaa's Islamist-led alliance launched a lightning offensive in late November last year, taking the capital Damascus on December 8 after nearly 14 years of war and putting an end to more than five decades of the Assad family's iron-fisted rule. (Photo by Handout / SANA / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT "AFP PHOTO / SANA" - HANDOUT - NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTSAFP Al Sharaa ha iniziato la mattinata presto, come aveva fatto l’8 dicembre dello scorso anno. In tenuta militare, la stessa di un anno fa, si è presentato alla moschea degli Omayyadi per tenere il suo discorso. «La fase attuale richiede a tutti i cittadini di unire i loro sforzi per costruire una Siria forte, consolidarne la stabilità, preservare la sua sovranità e costruire un futuro degno dei sacrifici del suo popolo», ha detto. Poi ha assistito alla parata militare preparata per l’occasione. Una dimostrazione di forza diretta non solo all’esterno ma anche all’interno alle varie fazioni. Tra queste, le Forze democratiche siriane curde. Anche loro hanno festeggiato l’anniversario. Ma hanno pure lanciato un messaggio al presidente al Sharaa, chiedendo la fine dei discorsi d’odio e di avviare la transizione democratica sulla base delle direttive Onu. L’inferno delle carceri siriane: «Celle da 80 persone, non dormivamo per giorni» Ritorni «L’8 dicembre del 2024 ero in prigione. Non avevamo idea di cosa stesse succedendo fuori. Non ne sapevamo nulla», dice Alì, 32 anni, che ora vende occhiali. «Nel cuore della notte, i soldati dell’esercito libero siriano sono improvvisamente entrati in carcere e hanno aperto le porte. Non riuscivamo a credere a quello che era successo; sembrava stessimo sognando», racconta mentre tiene in braccio la sua bambina. Si trovava nell’esercito e decise di disertare e fuggire. Scelta pagata all’epoca a caro prezzo. «Mi ci sono voluti giorni per metabolizzare l’accaduto e credere di essere libero. Il mio sogno più grande era vedere la fine del regime di Assad e si è realizzato. Posso solo dire che mi sento la persona più felice del mondo». Seduta sul marciapiede insieme a sue tre amiche c’è Hala Haj Ali. Ha 38 anni e ha lasciato la Siria nel 2013 rifugiandosi in Turchia. A Damasco faceva la ricercatrice in campo sociologico. «Ero considerata un’oppositrice del regime. Rischiavo di essere incarcerata», racconta. «Non sono potuta tornare nel paese fino all’anno scorso». Lei è una dei 1,2 milioni di siriani che hanno fatto rientro nel loro paese dopo la caduta di Assad. Siria, un anno senza Assad: la festa e il mistero del presidente al Sharaa «Dal momento in cui è iniziata la battaglia di liberazione contro il regime, a partire da Aleppo, abbiamo seguito le notizie in ogni momento e abbiamo sentito che la vittoria si stava avvicinando man mano che ogni nuova area veniva liberata dalle forze di opposizione», racconta. Da nord a sud, città dopo città sono crollate nell’offensiva del gruppo Hayat Tahrir al Sham (Hts), guidato dall’allora al Jolani (così si faceva chiamare l’attuale presidente). Aleppo, poi Hama, poi Homs e infine Damasco. «Sono tornata immediatamente. È stata una sensazione indescrivibile. Mi sentivo come se avessi finalmente ottenuto qualcosa che avevo perso e che avevo perso la speranza di ottenere. Dopo la mia prima visita nel mio paese, ho deciso di tornarci definitivamente e di stabilirmi qui. E infatti, ora sono qui, per vivere qui fino all'ultimo giorno della mia vita», dice. Verso sera la piazza è ancora piena. Chi durante il giorno era costretto a lavorare finalmente può partecipare ai festeggiamenti. Gruppi di giovani con tamburi e casse alla mano cantano e ballano in gruppo la rivoluzione. Ogni marciapiede è battezzato dai venditori ambulanti. C’è chi vende palloncini, chi frutta secca e chi bevande di ogni tipo. Le bandiere costano da uno a tre dollari. In mano, al collo, o in testa come bandana tutti ne hanno una. Con il buio, in cielo esplodono i fuochi di artificio e sono visibili le decine di droni che sorvegliano la piazza mentre la musica prosegue senza sosta. Non c’è tanto spazio per pensare alle divisioni settarie, alle incursioni israeliane nel sud del paese, al passato macchiato dalla jihad del presidente al Sharaa. È il giorno in cui si celebra libertà dall’oppressione. E tutti sono con i cellulari in mano per immortalare il corso della storia. Migliaia di corpi nelle fosse comuni. In Siria è ora di dare un nome agli scomparsi