«I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite».

Così dice l’articolo 2, comma 4 dello statuto dell’Onu. Il  principio dell’integrità territoriale, sacro per la Repubblica popolare cinese, da tempo impegnata in una “ascesa pacifica” (hépíng juéqĭ).

Un fondamento da difendere anche perché lo Xinjiang e il Tibet costituiscono assieme un terzo del territorio dello stato nato con la vittoria dei maoisti nel 1949, e da allora sono rimaste regioni turbolente, scosse ciclicamente da movimenti indipendentisti.

Coerente con la sua linea, Pechino non ha riconosciuto l’annessione russa della Crimea, avvenuta con il referendum sull’autodeterminazione del 4 marzo 2014.

Che cosa farà quando con le consultazioni sotto occupazione militare del 23-27 settembre verrà sancita l’integrazione anche di Lugansk, Donetsk, e delle province di Kherson e Zaporizhzhia, che assieme costituiscono il 15 per cento dell’Ucraina?

È come se la Turchia annettesse lo Xinjiang musulmano, o l’India si prendesse il Tibet buddista. È più che probabile che la Cina non riconoscerà come russi nemmeno questi territori sottratti all’Ucraina.

Equilibrismo precario

Prima con l’aggressione a uno stato sovrano, e ora con l’ennesimo tentativo di conquista, l’imperialismo avventurista di Putin rischia di ripercuotersi sulla leadership cinese.

Dopo il discorso di Putin, ieri la Cina ha chiesto un cessate il fuoco ed esortato Mosca e Kiev a dialogare per la pace. Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha invitato «a trovare un modo per affrontare le preoccupazioni sulla sicurezza di tutte le parti».

Pechino continuerà a rivendicare la sua “partnership strategica onnicomprensiva” con Mosca (che non è un’alleanza in senso stretto) e il suo diritto ad avere intensi rapporti politici ed economici con la Russia, senza appoggiare (né condannare) la guerra in Ucraina, né fornire armi o tecnologia militare a Mosca. 

Ma questo equilibrismo sta diventando sempre meno sostenibile.

Venti giorni prima che Putin invadesse l’Ucraina, il 4 febbraio scorso, Putin e Xi Jinping avevano sottoscritto a Pechino la “Dichiarazione congiunta della Federazione russa e della Repubblica popolare cinese sull’ingresso delle relazioni internazionali in una nuova era e sullo sviluppo globale sostenibile”, un manifesto anti Usa e anti Nato, per «un sistema multipolare equo di relazioni internazionali».

Può darsi che in quell’occasione Putin non avesse informato Xi di quanto stava per scatenare contro l’Ucraina. Possibile che anche la settimana scorsa, quando i due presidenti si sono incontrati (per la trentanovesima volta) al vertice della Shanghai cooperation organization di Samarcanda, Putin abbia nascosto a Xi il suo ultimo azzardo?

Contro le alleanze occidentali

Eppure la quasi-alleanza forgiata dalle leadership di Xi e Putin può reggere anche a questa ulteriore mossa destabilizzante del Cremlino.

La relazione tra Cina e Russia è infatti cementata dal comune timore delle “ingerenze” occidentali, delle rivoluzioni colorate, delle alleanze militari come la Nato, che Putin accusa di condurre una guerra per procura contro la Russia o, nel Pacifico, di Aukus (Australia, Regno Unito, Stati Uniti), che la Cina avverte come un pericolo per i suoi interessi nell’area.

Come dice il proverbio, «il nemico del mio nemico è il mio amico»: è la percezione degli Stati Uniti come una minaccia esistenziale il collante principale che tiene assieme il regime di Putin e la leadership cinese.

Durante il XVII dialogo strategico Cina-Russia che si è concluso lunedì scorso a Pechino, per affrontare questa fase di drammatici sconvolgimenti dell’ordine internazionale i due paesi hanno scommesso sul «continuo rafforzamento della loro cooperazione strategica, e sul sostegno reciproco dei rispettivi interessi fondamentali», con Mosca che ha riaffermato il pieno appoggio a Pechino su Taiwan.

E ieri l’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha comunicato che il giorno precedente l’aviazione e la marina cinese hanno rintracciato navi da guerra statunitensi e canadesi mentre transitavano attraverso lo stretto che divide l’isola dalla Cina continentale.

L’Epl ha monitorato il passaggio del cacciatorpediniere missilistico Uss Higgins e della fregata di classe della marina canadese Hmcs Vancouver, per Pechino una «mossa provocatoria».

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