Per essere così a est, è il più a ovest possibile. La piccola Lituania, appendice orientale d’Europa, posta dove l’Ue tocca la Bielorussia, ha una politica estera d’avanguardia. Va allo scontro aperto con la Cina, fronteggia mire russe e provocazioni bielorusse.

Barriere digitali

L’ultimo episodio dello scontro tra Vilnius e Pechino avviene nel campo delle tecnologie. «Liberatevi dei vostri telefonini cinesi il più in fretta che potete», ha detto a metà di questa settimana Margiris Abukevicius. «E non compratene di nuovi». Una raccomandazione senza mezzi termini, quella del viceministro della Difesa, che si basa sugli esiti di una indagine del centro nazionale per la cybersicurezza. Oggi la Germania ha deciso a sua volta di investigare, vista l’allerta di Vilnius. Quali sono i rilievi degli esperti lituani? Anzitutto, alcuni modelli a tecnologia 5G, come lo Huawei P40 5G, sarebbero vulnerabili ad attacchi informatici. Oltre ai rischi per la sicurezza, c’è anche quello della censura: stando al centro nazionale e al ministero lituano, alcune opzioni di filtro per i contenuti, che sui cellulari distribuiti in Europa sono state disattivate, potrebbero comunque essere riattivate da remoto. I contenuti in questione sono frasi come «Tibet libero», «lunga vita all’indipendenza di Taiwan» e «movimento per la democrazia». I dispositivi Xiaomi sarebbero capaci di bloccare quasi 500 termini. Le aziende cinesi negano.

La muraglia anticinese

Il caso dei telefonini è solo l’ultimo episodio a conferma del posizionamento duro della Lituania nei confronti di Pechino. La premessa è che la Cina in Europa orientale è iperattiva, e i segni di questa presenza nei Balcani ad esempio sono profondi. Il Montenegro, che è una porta sul mar Adriatico, si è indebitato con Pechino per un’autostrada. La Serbia, il cui presidente Aleksandar Vučić è stretto alleato di Viktor Orbán, come l’Ungheria ha usato il vaccino cinese e proprio questo mese ha inaugurato la costruzione di un impianto che produrrà Sinopharm vicino a Belgrado. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione, Ursula von der Leyen ha non a caso lanciato una “via della seta alternativa” europea, la Gateway globale: «Investiremo in infrastrutture che colleghino beni, persone e servizi ovunque». Intanto nei paesi baltici, Lituania anzitutto, ma anche Estonia e Lettonia, la fascinazione per Pechino è finita da un po’, e l’indebitamento che i progetti cinesi lasciano sulla strada è uno dei motivi. Perciò Vilnius a febbraio ha snobbato il summit 17+1, che è un format della Cina per unirla a 17 paesi dell’Europa dell’est, di cui 12 dentro l’Ue; e ad agosto, la Lituania ha proprio detto addio. Nel frattempo, ha aperto un suo ufficio di rappresentanza a Taiwan, intensificando i rapporti commerciali; il che ha scatenato la controffensiva (economica) cinese, con Cina e Lituania che hanno richiamato i reciproci ambasciatori.

Russia e Bielorussia

La Lituania ha conosciuto la dominazione russa e considera l’àncora della Nato, oltre che dell’Ue, cruciale per la propria sicurezza. Con la crisi bielorussa al confine, Vilnius ha dato rifugio agli oppositori di Lukashenko – qui è scappata Svetlana Tikhanovskaya – e ha sempre invocato una posizione dura e compatta dell’Ue, nei confronti di tutti i vicini ingombranti a est: Bielorussia, ma anche Russia, e Cina. Un mese fa il governo lituano ha avviato la costruzione di un nuovo muro per «fermare l’arrivo crescente di migranti che Lukashenko orchestra».

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