Mentre i combattimenti in Sudan sono entrati nella terza settimana, intervallati da cessate il fuoco molto spesso violati, e il numero dei morti supera i 500 (ma fonti sul campo sostengono che siano molti di più, ndr), si fa strada una nuova pista negoziale sponsorizzata dalle Nazioni unite che vede come terreno neutrale di confronto l’Arabia Saudita.

Ormai decisamente fallita l’iniziativa lanciata il 26 aprile dall’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo, l’organismo politico-commerciale dei paesi del Corno d’Africa) per un’estensione del cessate il fuoco e l’apertura di una trattativa a Juba, capitale del Sud Sudan (aveva risposto positivamente solo una delle parti belligeranti, il leader delle Forze armate sudanesi (Saf), Abdel Fattah al-Burhan, ndr), tutte le speranze ricadono ora su questo nuovo tentativo targato Onu.

Secondo quanto dichiarato il primo maggio all’Associated press dall’inviato speciale delle Nazioni unite per il Sudan, Volker Perthes, i due  generali in guerra, al-Burhan  e Momahed Hamdan Dagalo “Hemedti”, avrebbero accettato di inviare rappresentanti per possibili negoziati in Arabia Saudita e accolto la proposta di estendere la tregua.

Tregua «stabile»

Proprio quest’ultimo punto desta i maggiori dubbi sulle reali intenzioni dei due contendenti: tutti i cessate il fuoco, compreso l’ultimo concordato il 27 aprile per 72 ore e poi formalmente esteso, sono ripetutamente falliti.

Perthes ha dichiarato che i colloqui, se l’iniziativa dovesse andare in porto, si concentrerebbero prioritariamente sull’istituzione di una tregua «stabile e affidabile» e che tale pausa dai combattimenti sarebbe monitorata da osservatori nazionali e internazionali. Ma ha tenuto ad aggiungere che ci sono ancora vari ostacoli da affrontare.

Nel frattempo le Nazioni unite hanno avvertito che in caso di protrarsi degli scontri, più di 800.000 persone potrebbero essere spinte a fuggire dal Sudan. «Speriamo che non si arrivi a tanto – ha twittato il capo dell’Unhcr, Filippo Grandi, in appoggio all’iniziativa di Perthes – ma se le violenze non si fermeranno vedremo più persone costrette a fuggire dal Sudan in cerca di sicurezza».

L’allarme arriva in un momento in cui, secondo l’Onu, in Sudan, un paese già gravato da una pesante crisi economica e da instabilità politica, con circa 15 dei suoi circa 47 milioni di abitanti vittime di durissima insicurezza alimentare, si rischierebbe una  «catastrofe umanitaria».

Gli sfollati

Oltre che per i possibili colloqui, l’Arabia Saudita è al centro degli interessi dei sudanesi che, in fuga dal conflitto, ne stanno facendo una meta privilegiata. In due settimane sono arrivati a Gedda migliaia di sfollati mentre, solo nella giornata di sabato 29 aprile, una nave commerciale ha sbarcato più di 1.800 profughi. Port Sudan, una della città fin qui sostanzialmente risparmiata dal conflitto, è diventata un mega hub per cittadini terrorizzati che cercano rifugio o provano con ogni mezzo a lasciare il paese.

Tra i tentativi internazionali di dare una svolta positiva alla crisi si registra anche l’intervento del presidente del Kenya, William Ruto il quale ha convocato lunedì primo maggio una riunione a cui ha preso parte il coordinatore Onu per gli Affari umanitari e gli aiuti d’emergenza, Martin Griffiths, e ha sollecitato ogni sforzo possibile per fornire supporto umanitario alla popolazione: «Nello stesso modo in cui siamo riusciti a evacuare le persone dal teatro del conflitto, penso che ci sia un modo per accedere con il supporto umanitario. Quindi dobbiamo pensare in parallelo». L’Egitto, invece, in una riunione di emergenza della Lega araba al Cairo, ha proposto una bozza di risoluzione che chiede una «cessazione immediata e completa» dei combattimenti.

Ma gli sforzi di mediazione stranieri sembrano raccogliere sfiducia tra gli esperti a causa dei numerosi interessi in gioco. L’analista sudanese Alex de Waal – come riporta Africanews – ha definito i tentativi «deboli e tardivi» e accusato Donald Trump di aver delegato per anni la politica ai suoi «alleati favoriti in medio oriente», che temevano una transizione democratica in Sudan.

Gli unici sforzi che sembrano funzionare, sono le tregue concordate grazie alla mediazione dei gruppi della società civile. Sono stati segnalati come efficaci, infatti, diversi cessate il fuoco a livello locale che hanno coinvolto gli anziani della comunità o i movimenti civili come negoziatori.

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