Non voglio qui entrare nel merito dell’operazione militare di Israele a Gaza e della raffica di missili che piovono sulle città dello Stato ebraico, fino a quota Tel Aviv. Anzitutto, perché lo scenario è qui ottimamente coperto da Davide Lerner, con la cui analisi concordo.

Secondo, perché affronto i temi relativi ad Israele su riviste di geopolitica specializzate, dove è possibile un’analisi senza essere risucchiati dal tritacarne di un dibattito ideologico.

Vorrei, però, soffermarmi sulla comunicazione relativa all’eterno conflitto israelo-palestinese, la cui origine affonda ormai in un ignoto storico, con entrambe le parti ad indicare l’altra come responsabile.

Per una serie di ragioni, prima fra tutte l’intreccio millenario che ha legato la storia ebraica a quella occidentale, l’attenzione verso quello che un tempo, prima del crollo dell’intera area, si definiva conflitto medio orientale è da sempre sproporzionata rispetto ad altri scenari, anche più cruenti.

Nei nostri tempi la grancassa delle reti sociali, dove non ci si stupisce di trovare su Twitter in tendenza "Gaza” e “Israele” ininterrottamente da due giorni, ha comportato un ulteriore rialzo dell’asticella.

Il paragone improprio

Come c’era da aspettarsi, il paragone più frequente è con l’Ucraina: perché si piangono le vittime dell’invasore russo e non quelle palestinesi? Perché questa difficoltà a riconoscere Israele come paese aggressore esattamente come la Russia di Putin?

E poi giù, con le accuse ai giornalisti di essere al soldo della spectre sionista, o del complotto giudaico. Il paragone fra i due scenari è talmente forzato da risultare ridicolo. Insomma, ci sarebbe da ridere, se non si dovesse piangere la vita di altre persone, tra cui bambini.

Gaza, territorio sovrano dal 2005, bombarda quotidianamente, a fini di pura propaganda e di competizione interna fra Hamas e altre sigle persino più estremiste, le città al confine sud di Israele, dove ogni casa è costruita, per legge, con annesso bunker antimissile anche per la difficoltà del sistema iron dome ad intervenire con tempi di reazione così stretti. Dov’erano, invece, i bombardamenti ucraini in territorio russo?

Semmai avevamo quello che si suol definire un conflitto a bassa intensità in Donbass, che mi risulta essere regione ucraina.

Due: a Gaza comanda un’organizzazione paramafiosa, che, se è vero che è stata liberamente eletta nel 2006, lo è anche che governa imponendo norme degne dei peggiori regimi islamisti, usando il conflitto israeliano, che dovrebbe evitare solo per evidente sproporzione di forze, come coagulatore di consenso in mancanza di altre politiche che avrebbero potuto portare beneficio ad una popolazione ridotta allo stremo anzitutto per mancanza di leadership interna.

Non parliamo del trattamento riservato ai rivali politici. Solo pochi anni fa c’era la moda di buttare direttamente giù dai tetti delle case i rappresentanti dell’Olp, che, che noto, governa in Cisgiordania.

In Ucraina, con tutti i difetti di una democrazia senz’altro acerba, dove si verificavano situazioni simili?

Antisionismo e antisemitismo

Basterebbe questo per comprendere i toni pregiudiziali che presiedono ad ogni analisi che abbia a che fare con Israele e per qualificare l’antisionismo come proseguimento dell’atavico antisemitismo europeo con altri mezzi.

Lo stereotipo è sempre quello degli ebrei come perfidi, come gruppo separato insensibile alla compassione e alla sofferenza dell’altro.

Chi crede che questa rappresentazione abbia a che fare solo con le sorti ebraiche si sbaglia di grosso. L’immagine di Israele come longa manus dell’imperialismo occidentale, in vigore almeno dal 1967, è un tassello di un più ampio quadro ideologico tipico di una sinistra anticapitalista, che rifiuta di stare in uno stesso partito con un fronte riformista.

Come avviene, invece, in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove stanno insieme da Blair a Corbyn, da Biden a Ocasio-Cortez. Insomma, sono argomenti che hanno molto a che fare con gli affanni odierni di Enrico Letta.

Nelle sue frange estreme, poi, si arriva a raggruppamenti antisistema veri e propri. Quelli che hanno accompagnato le idiozie No-vax, i deliri anti green pass e che interpretano l’Ue alla stregua di un’entità neoliberista (mai neologismo fu più abusato di questo) volta a soffocare le nazioni. Non è strano trovare oggi negli stessi volantini elettorali Marco Rizzo, Ugo Mattei e Simone Di Stefano.

© Riproduzione riservata