Una media di quasi 30mila colpi al giorno sparati ad aprile, una spesa militare che aumenta del 38 per cento in un anno, un milione e mezzo di droni consegnati nel 2024. Per Vladimir Putin «non è abbastanza», l’industria militare russa può ancora fare di più.

Il 9 maggio, giorno in cui il presidente russo celebrerà gli 80 anni della vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale, si avvicina. Ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avvertito che, nell’occasione, Mosca potrebbe «appiccare incendi o provocare esplosioni» per poi accusare Kiev. Per questo, oltre a respingere la proposta di una tregua di tre giorni e avanzare quella di uno stop dei combattimenti di 30 giorni, ha aggiunto che non potrà «garantire la sicurezza» dei leader politici internazionali che saranno ospiti di Putin.

La controparte russa, per bocca del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, ha replicato che quella di Zelensky è solo una «provocazione verbale», ma ha aggiunto che se Kiev intende attaccare nel Giorno della vittoria la reazione sarà durissima: «Non arriveranno al 10 maggio».

Ma, al di là degli scambi di accuse, sono gli attacchi (droni russi hanno colpito la città di Kharkiv provocando almeno 50 feriti) a rendere evidente la volontà di Mosca di proseguire il conflitto.

Il 23 aprile scorso Putin ha parlato alla Commissione statale per l’industria della difesa. Ha detto che la produzione di armi, sistemi di comunicazione, ricognizione e guerra elettronica è più che raddoppiata. E ha parlato di 180 aerei da guerra ed elicotteri consegnati per continuare ad attaccare l’Ucraina, e di 4.000 mezzi corazzati.

Ma «so molto bene che queste armi non sono ancora sufficienti. Non è abbastanza», ha ribadito. Perché al fronte – al netto di una retorica condivisa anche dagli Usa e che vedrebbe Mosca pronta a un cessate il fuoco in qualsiasi momento – aspettano questi nuovi droni «con impazienza».

Le priorità di Putin

Per la Russia «rifornire la macchina bellica è una priorità», scrive in un report pubblicato dal think tank Konrad-Adenauer-Stiftung l’analista Daivis Petraitis. Parlando con Domani, Petraitis spiega come da tre anni e mezzo «l’economia russa si sia adattata per soddisfare le esigenze militari ed è in grado di produrre gli armamenti necessari».

Le misure portate avanti rafforzano questa postura «puntando a raggiungere un livello di prontezza che potrebbe essere richiesto in caso di mobilitazione generale dello Stato», dice richiamando la cosiddetta “Dottrina Ivanov”.

Un piano con cui dal 2003 Mosca prepara il suo esercito per poter combattere due guerre regionali in contemporanea, e su un secondo livello si prepara a uno scenario peggiore, quello di convertire il paese a una mobilitazione totale in caso di conflitto globale.

«Stanno cercando di costruire un’economia in grado di soddisfare il secondo livello di ambizione definito dalla Dottrina Ivanov», sostiene Petraitis, che insegna in Estonia al Baltic Defense College, istituto di formazione accreditato dalla Nato.

La Russia nel 2024 ha speso 149 miliardi di dollari in armamenti, il 7,1 per cento del proprio Pil. Si tratta del 19 per cento delle spese totali del governo, e di un aumento del 38 per cento in un anno, secondo i dati appena pubblicati dal Sipri di Stoccolma. Il Military Balance Report dell’Iss di Londra aggiunge un altro dato: la spesa quest’anno è destinata a crescere ancora, del 14 per cento.

A luglio del 2022 il parlamento russo ha modificato una serie di leggi nel settore della difesa, che hanno di fatto gradualmente convertito il paese verso un’economia di guerra. Tra queste, l’introduzione di una serie di misure economiche speciali per avere a disposizione fabbriche in caso di necessità dell’esercito, una produzione continua che non chiude mai, con turni da 12 ore, anche di notte, nei weekend e nei giorni di vacanza per i lavoratori del settore, eliminando le ferie.

Secondo i dati elaborati dal think tank Rusi e condivisi con Domani, «dal febbraio 2022, molte imprese della difesa russe sono state ampliate e alcune sono state costruite da zero». Nel 2022 nei registri ufficiali russi erano iscritte «1.400 imprese con ogni forma di proprietà.

La maggior parte di esse era statale», con 4 milioni e mezzo di persone coinvolte nella fornitura di ordini militari. Il colosso statale Rostec conta più di 800 aziende e istituti di ricerca.

Tutto viene convertito dando priorità alla guerra. Come scrive il Rusi, i 12 miliardi di dollari stanziati per il 2024-2026 per l’agenzia spaziale russa non saranno investiti nell’esplorazione spaziale, ma «nello sviluppo e nella produzione di missili, motori per missili e sistemi di coordinamento delle armi balistiche».

Vale lo stesso per Rosatom, l’azienda pubblica che si occupa di nucleare e che ha partecipato allo sviluppo di armi per sostenere la guerra in Ucraina, come i sistemi Sturm, i Chrysanthem-S e gli Igla-S. E per l’accademia russa delle scienze, che nel 2024 ha ricevuto 3 miliardi di dollari di fondi ed è incentivata a fare ricerca «nell’interesse della difesa e della sicurezza dello Stato, con priorità nella risoluzione dei problemi delle forze armate», si legge in una nota pubblicata dall’agenzia Tass.

Le scorte sovietiche

Per quanto riguarda l’utilizzo di queste armi al fronte e contro obiettivi su tutta l’Ucraina, negli ultimi tre anni e mezzo la Russia ha diversificato gli attacchi più possibile, agendo su un doppio binario parallelo. Da un lato togliendo la polvere dalle scorte di epoca sovietica per martellare le città al fronte con vecchie glide bombs riadattate.

Dall’altra ha continuato a produrre e sviluppare missili balistici e ipersonici – la produzione di Iskander è quasi triplicata in un anno arrivando a 700 missili nel 2024 – usati contro le città per terrorizzare la popolazione civile. Aprendo anche all’acquisto di droni Shahed da Iran e Corea del Nord, ritrovati e analizzati dagli esperti forensi ucraini.

E poi ci sono intrecci tra produzione e ricorso ad arsenali sovietici. Al fronte sono stati utilizzati cingolati degli anni Cinquanta del secolo scorso come il BTR-50 e il carro armato T-62. E, dei più di 2.000 carri armati consegnati nel 2023, 210 erano nuovi di fabbrica, mentre 800 erano T-72 rimessi a nuovo.

Stesso discorso per le vecchie glide bombs, trasformate con kit da 20.000 dollari in micidiali bombe plananti con sistemi di trasmissione satellitare. Con la stessa logica, è possibile che riescano a trasformare vecchi colpi di artiglieria in sistemi tele-guidati.

Sugli scenari futuri, c’è da capire la tenuta di questo sistema di produzione e di questi numeri appena verranno meno le scorte sovietiche. «Nel periodo 2022-2024, la maggior parte delle perdite di armamenti è stata compensata attingendo alle scorte.

Nel 2025, la maggior parte di queste scorte sarà esaurita, e la Russia dovrà fare affidamento esclusivamente sulla produzione di nuovi armamenti da zero», dice a Domani l’analista Pavel Luzin, che firma un report del Center for European Policy Analysis sulle criticità del continuo riarmo russo.

Cambiare modello

Secondo Luzin, «se l’intensità della guerra resterà la stessa», ripensare i modelli di produzione sarà una necessità. Variabili legate alla capacità di fuoco dell’Ucraina – e quindi anche agli aiuti occidentali – che possono portare la Russia a una «svolta cruciale nella capacità di proseguire il conflitto», sostiene Luzin.

Secondo i calcoli di Petraitis, «le scorte di armi sono state esaurite per quasi la metà». Il complesso militare-industriale russo «si basa ancora su fondamenta sovietiche» e può contare come punti di forza su «ingegneri e operai, oltre a numerosi progetti di ricerca sovietici che possono essere riutilizzati per nuovi sviluppi».

Un modello che «può ancora espandersi» e i cui «limiti non sono ancora stati raggiunti». E, a questi ritmi, reggere ancora prima che emergano conseguenze economiche interne più profonde. «Almeno per un paio d’anni ancora», dice Petraitis. Soprattutto se riuscirà a rendere questo modello strutturale dopo la fine della guerra in Ucraina.

«Attualmente la Russia sta lavorando per diversificare il complesso militare-industriale verso usi civili e, se ci riuscirà, potrebbe mantenere questo modello per diversi anni».

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