Mahmut Tat, curdo di cittadinanza turca, è stato fermato il 22 novembre a Märsta in Svezia e pochi giorni dopo è stato espulso e mandato in Turchia. Tat richiede invano l’asilo politico dal 2015 e, a differenza di quanto riportato dai media, non è un membro del Pkk. L’espulsione di Tat ha subito attirato l’attenzione, viste le dinamiche geopolitiche in cambiamento tra Stoccolma e Ankara, per via della richiesta di adesione del paese alla Nato e la rigida opposizione della Turchia.

Tuttavia, in questa particolare faccenda ci sono dei dettagli che cambiano il contenuto della notizia e permettono di capire meglio il momento di svolta nelle relazioni tra questi due possibili futuri alleati.

Accuse deboli

Quattordici anni fa, quando Tat era stato arrestato a Tunceli, in Turchia, il suo avvocato d’ufficio era Huseyin Aygun, iscritto all’albo della stessa città e diventato successivamente parlamentare di opposizione con il Chp.

Il giornalista turco Baris Terkoglu riporta così le dichiarazioni di Aygun: «Né lui né la sua famiglia hanno legami con il Pkk. Suo zio risulta pure assassinato dall’organizzazione. All’epoca, sul territorio, le formazioni armate erano molto presenti. A volte per motivi politici oppure per opportunismo economico i contadini sostenevano il Pkk, intrattenevano con loro piccoli commerci. Anche Tat è stato accusato di questo».

Nelle carte del processo Tat viene accusato di aver venduto due allarmi d’auto e due sacchi di letame al prezzo di circa 500 euro a due persone non identificate e accusate di appartenere al Pkk.

Questa accusa incerta viene sostenuta con le dichiarazioni di un cittadino siriano che si dichiara ex membro dell’organizzazione, e che si è presentato nel 2007 alle forze dell’ordine per collaborare con lo stato.

Successivamente questa persona è stata interrogata e solo verso la fine delle sue dichiarazioni, in modo molto approssimativo, ha parlato di Tat (senza nominarlo) e di questo episodio di compravendita.

In quel periodo il fratello di Mahmut, Mustafa Tat, collaborava con la gendarmeria per procurare una serie di dettagli utili per il processo, ritenendo che suo fratello fosse innocente: «La nostra famiglia si occupa di trasporto persone da anni. Siamo una famiglia fedele allo stato. All’epoca mio fratello ha subito un danno psicologico per via di questo processo e ha deciso di andare a vivere a Istanbul».

Infatti Mahmut Tat nella grande metropoli passa sette anni facendo sempre lo stesso lavoro.

Condannato a 6 anni

Nonostante la struttura così debole e precaria del processo, Tat viene condannato a 6 anni di carcere con l’accusa di «appartenere a un’organizzazione terroristica e di sostenerla» e dopo questa notizia decide di andare in Svezia per chiedere l’asilo politico, che poi gli sarà negato.

Secondo il giornalista Ahmet Tirej Kaya, residente in Svezia, Tat era un simpatizzante del secondo partito d’opposizione in Turchia, ossia il Partito democratico dei popoli (Hdp,) e in questo consisterebbe il suo impegno politico.

Pochi anni dopo la sua richiesta di asilo il suo caso è stato assegnato ai servizi segreti, Sepo: «Il governo svedese da qualche anno monitora attentamente la vita dei richiedenti di asilo, con l’ausilio dei servizi segreti che a volte collaborano anche con quelli stranieri. Per questo motivo all’avvocato di Tat è stato tolto il diritto di difendere il suo assistito».

Il 2 dicembre Mahmut Tat, una volta arrivato in Turchia, è stato arrestato e portato nel carcere di Metris per scontare la sua pena.

In seguito il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha espresso la sua gratitudine al governo svedese, nonostante non fosse stata fatta richiesta di estradizione per Mahmut Tat.

Basandosi sull’accordo firmato a Madrid lo scorso luglio, Ankara pretende dalla Svezia l’estradizione di una serie di persone accusate di “terrorismo” per approvare in cambio la sua adesione alla Nato.

Tuttavia, una buona parte di queste sono già cittadini svedesi. Molto probabilmente Stoccolma preferisce proseguire con l’espulsione dei richiedenti asilo di “basso profilo” per accontentare Ankara che a casa, com’è successo nel caso di Tat, trasformerà questi “regali” in grandi campagne di dimostrazione di potere in vista delle elezioni del 2023.

Così facendo Stoccolma cerca di ottenere l’adesione alla Nato e allo stesso tempo di portare avanti con successo la sua nuova severa politica migratoria.

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