Non bastavano i dazi sulle merci importate, il rischio inflazione e una possibile recessione, ipotesi non esclusa nemmeno dalla Casa Bianca. L’economia americana a guida Donald Trump potrebbe a breve affrontare un’altra tempesta.

Il Washington Post ha lanciato l’allarme di un “buco” nelle entrate fiscali degli Stati Uniti di 500 miliardi di dollari secondo le proiezioni del Tesoro e dell’Agenzia delle entrate Usa.

Gli incassi tributari potrebbero scendere del 10 per cento rispetto al 2024, quando erano stati incassati 5.100 miliardi, a causa dei tumultuosi cambiamenti in corso all’Internal revenue service (Irs), l’agenzia federale che si occupa della riscossione dei tributi, scossa dai tagli al personale annunciati dal miliardario Elon Musk (e poi sospesi dai giudici), dalla riduzione ai fondi per l’ammodernamento delle procedure decisi dal precedente presidente democratico Joe Biden e, infine, dal trasferimento degli impiegati del fisco sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina.

Questo caos organizzativo, sostiene il quotidiano americano, potrebbe portare più contribuenti a saltare il pagamento delle imposte.

I funzionari fiscali, secondo Washington Post, prevedono un calo delle entrate tributarie a causa del cambiamento del comportamento dei contribuenti, poiché «molti si aspettano che l’amministrazione Trump sarà meno propensa a contestare i presunti evasori fiscali». Insomma, il clima è cambiato e c’è la sensazione di una maggiore tolleranza se non indulgenza da parte di un presidente che non ha mai avuto rapporti facili con il fisco né con i magistrati.

Licenziamenti e reintegri

Che l’aria fosse cambiata a Washington si è visto da subito con la cancellazione da parte degli Usa della minimum tax sulle multinazionali su cui era stato raggiunto l'accordo all'Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Trump, il giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, aveva dato l’annuncio ed esortato il Tesoro a preparare misure ritorsive contro chi avesse applicato prelievi "extra territoriali" sulle multinazionali a stelle e strisce. Così la minimum tax globale del 15 per cento, bestia nera per i big tecnologici della Silicon Valley, è stata bloccata.

Poi è arrivato l’assalto alle istituzioni fiscali interne iniziato con i licenziamenti al personale poi annullati dalla magistratura. L'amministrazione Trump il 18 marzo scorso ha dovuto iniziare il reintegro per più di 24mila dipendenti federali che erano stati licenziati a metà febbraio.

Il giudice distrettuale James Bredar recentemente ha ordinato il reintegro, (come previsto un tempo anche nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in Italia), di tutti i dipendenti licenziati da 18 agenzie federali, considerando «non provata» la motivazione offerta per il licenziamento, cioè una loro presunta prestazione negativa.

I diversi ministeri hanno avviato il reintegro dei dipendenti con meno anzianità. Al Tesoro si parla di 7.613 reintegri, in grande parte impiegati dell'Irs. Secondo il Wall Street Journal sono 6mila i dipendenti dell’Irs licenziati e poi reintegrati dai giudici.

A caccia di immigrati

All'Irs, gli agenti delle indagini penali, che solitamente indagano su una varietà di reati fiscali e finanziari, sono stati reindirizzati alle operazioni di immigrazione, come riportato dall’agenzia Reuters. Gli agenti sono solitamente «là fuori a seguire complesse piste di denaro; smantellano traffici di droga e fanno pagare alle persone le tasse che devono», ha detto Elaine Maag, ricercatrice senior presso l'Urban-Brookings Tax Policy Center, un think tank di Washington che studia le questioni fiscali: «Ci sono costi diretti e indiretti nel ritirare gli investigatori penali dell'Irs dal campo».

Ma c’è di più. Il dirigente di una startup tecnologica incaricato dall'amministrazione Trump di esaminare il programma di modernizzazione tecnologica dell'Irs ha dichiarato di aver annullato contratti per un valore di circa 1,5 miliardi di dollari dal bilancio dell'agenzia.

Insomma l’Irs è nella tormenta e i contribuenti stanno pensando di prendere l’occasione al volo con conseguenze disastrose sulla tenuta dei conti pubblici già sotto stress. Un nuovo fronte che non farà piacere a Jerome Powell, il governatore della Fed, già alle prese con gli effetti dei dazi annunciati su inflazione e crescita.

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