La Turchia sta diventando una potenza spaziale sull’onda della politica neo-ottomana di proiezione della propria egemonia nella regione che fu un tempo sotto il dominio dei sultani di Istanbul. Possibile? Sono in molti a crederlo e soprattutto a temerlo anche senza fare troppi clamori. Di certo Ankara sta avanzando in questo settore strategico sia per le attività civili relative alle trasmissioni televisive e, secondo le potenti organizzazioni degli armeni in California molto vicine alla speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, anche per le implicazioni militari, elemento questo escluso decisamente dagli enti interessati.

Il disco verde di Usa e Francia

Ma andiamo con ordine nell’intricata vicenda. Il satellite Turksat 5A, costruito dalla società franco-tedesca Airbus (Parigi è formalmente ostile ad Ankara per le rivendicazioni marittime sulle prospezioni energetiche di idrocarburi nel Mediterraneo orientale) in cooperazione con la Turchia, è stato lanciato in orbita la notte tra il 7 e l’8 gennaio con un razzo Falcon 9 della compagnia SpaceX, decollato dalla storica base di Cape Canaveral, in Florida negli Usa.

Dunque un lancio che ha avuto il disco verde di Washington e Parigi. Il satellite sarà operativo nel secondo semestre del 2021, ha precisato con un tono trionfalistico alla stampa locale (quasi tutta filogovernativa) il ministro turco dei Trasporti, assicurando per i prossimi 30 anni i “diritti orbitali” del paese della mezzaluna sul Bosforo.

Poco prima del lancio, che ha rappresentato la prima missione di SpaceX nel 2021, il viceministro dei Trasporti di Ankara, Omer Fatih Sayan, ha definito Turksat 5A «uno dei satelliti di ultima generazione, che ci garantisce l’opportunità di migliorare le nostre capacità nello spazio».

Tutto bene, dunque? C’è qualche dubbio tra gli esperti. Il satellite turco Turksat 5A è progettato per garantire copertura a banda larga a Turchia, medio oriente, Caucaso, Europa, Egeo e parti del nord Africa. Successivamente verrà lanciato un secondo satellite Turksat 5B a completamento dell’operazione. Turksat 5A è il settimo satellite nello spazio della Turchia neo-ottomana.

Secondo la stampa specializzata, come il sito space.com, i due Turksat sono basati sul satellite Airbus Eurostar E3000. Un modello che, in alcune varianti, sarebbe stato sviluppato anche con strumenti militari. Questo, unito al clima di tensione dopo la sconfitta dell’Armenia nel Nagorno Karabakh a opera anche dei droni turchi che hanno pesato più dei carri armati, potrebbe aver indotto a pensare che anche il Turksat possa avere scopi militari segreti. Paranoie eccessive da parte delle organizzazioni armene in California?

I timori degli armeni

Forse. In ogni caso SpaceX, società di proprietà del tycoon di origini sudafricane Elon Musk, negli ultimi mesi è stata presa di mira dalla comunità armena. Il 29 ottobre centinaia di manifestanti si sono dati appuntamento davanti agli uffici dell’azienda, ad Hawthorne in California, per cercare di impedire il lancio del Turksat 5A.

I manifestanti hanno gridato il loro dissenso contro SpaceX perché sostengono che l’esercito turco, il secondo per numero di effettivi dopo gli Usa tra quelli che fanno parte della Nato, potrebbe sfruttare il satellite per guidare attacchi tramite droni. Per ora sono solo speculazioni e non ci sono conferme ufficiali che il satellite possa essere utilizzato per questo tipo di azioni. Anzi il coinvolgimento europeo e in particolare francese farebbe escludere questa opzione.

Volontari di origine armena hanno inviato una valanga di email alla posta di SpaceX per impedire il lancio. I manifestanti hanno sottolineato che SpaceX riceve finanziamenti federali americani e quindi il lancio avrebbe rappresentato un coinvolgimento di Washington.

Il governo turco aveva molto fretta di concludere l’operazione perché se con l’amministrazione Trump c’era una sorta di intesa che passava tra i due leader in carica, con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca le cose sono destinate a cambiare. E in peggio per Ankara. Famosa è rimasta la frase della speaker della Camera, Nancy Pelosi, pronunciata il 25 settembre: «Sappiamo chi ammira (Trump ndr). Ammira Putin (il presidente russo Vladimir), ammira Kim Jong-un, ammira Erdogan in Turchia. Ma gli ricordo che non sei in Corea del Nord, non sei in Turchia, non sei in Russia, signor presidente».

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva subito risposto su Twitter: «L’ascesa di Pelosi è ciò che è veramente preoccupante per la democrazia americana, data la sua palese ignoranza. Fossi in lei imparerei a rispettare la volontà del popolo turco». Parole che non sembrano proprio un buon viatico per i rapporti tra i due paesi formalmente alleati Nato. Comunque, nonostante le proteste, il lancio spaziale è avvenuto lo stesso.

I droni turchi

Gli armeni americani erano preoccupati dal possibile uso dei satelliti per guidare i droni. Ma perché tanto timore? In effetti Ankara, anche sul delicato terreno della difesa, sta tessendo legami sempre più stretti con numerosi paesi dell’area. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha rivelato ai media locali il 6 ottobre 2020 che il suo paese è interessato ad acquistare droni armati turchi. I droni turchi, costruiti dalla società Baykar Defence Company, sono stati usati in Turchia, in Siria, Libia (dove hanno capovolto l’andamento del conflitto) e da ultimo nel Nagorno Karabakh contro l’Armenia e in favore dell’Azerbaijan. Non solo, i droni armati Bayraktar sono attualmente utilizzati anche da Ucraina e Qatar, fedele alleato di Ankara nel Golfo Persico.

Europa addio, anzi no

Ora però Ankara si sente isolata. In questa fase di una politica estera sempre più assertiva la Turchia ha fatto un passo indietro e cercato di evitare un inasprimento delle sanzioni europee decise all’ultimo Consiglio europeo.

«Siamo pronti a rimettere le nostre relazioni con l’Europa sui binari giusti. Dobbiamo rendere il Mediterraneo orientale un mare di cooperazione per gli interessi comuni, piuttosto che una zona di concorrenza». Dopo mesi di scontri verbali e tensioni, alcuni giorni fa, incontrando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Recep Tayyip Erdogan ha indicato il 2021 come un anno di svolta. Davanti agli ambasciatori Ue schierati ad Ankara, il presidente turco ha rilanciato la volontà di lavorare con Bruxelles su un «programma costruttivo».

Parole che arrivano nel pieno dell’offensiva diplomatica lanciata dal suo governo per cercare di rompere l’isolamento verso Occidente, anche alla luce dell’incognita sulle future relazioni con gli Stati Uniti di Joe Biden, che non mancherà di far notare il proprio disappunto sull’acquisto di missili russi S-400 al posto dei Patriot americani da parte di un membro Nato.

Erdogan ha giurato di voler mettere da parte il muro contro muro con Grecia e Cipro sulle esplorazioni energetiche nelle acque contese del Mediterraneo orientale e gli scontri con la Francia, sfociati nei violenti attacchi personali con il presidente Emmanuel Macron. Forte anche del suo peso in molte partite cruciali, dalla Siria ai migranti, dalla Libia al Caucaso, il sultano torna ora a tendere la mano. «Non abbiamo abbandonato l’ambizione di una piena adesione all’Ue. Rendere il 2021 un anno di successo nelle relazioni con l’Unione è un obiettivo alla nostra portata», ha assicurato il presidente turco, suggerendo che il suo paese potrebbe colmare il vuoto lasciato dalla Brexit.

Intanto, ha già incassato un primo importante segnale di apertura: la ripresa dopo quasi cinque anni dei “colloqui esplorativi” sulle dispute bilaterali con la Grecia, il prossimo 25 gennaio a Istanbul. Trattative che si annunciano lunghe e complesse, con Erdogan pronto a chiedere all’Ue «alternative realistiche» su Cipro, come una soluzione con «due popoli e due stati». Ipotesi che farebbe diventare Cipro nord una provincia turca. Ma il ritorno ai negoziati è già un segnale positivo.

E già prima di tornare al tavolo con gli inviati di Atene, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, sarà il 21 gennaio a Bruxelles in vista del Consiglio Ue di marzo, che minaccia di dare il via libera allo schema di sanzioni per le «azioni unilaterali» di Ankara delineato a dicembre. «Noi – ha ribadito il capo della diplomazia turca agli ambasciatori Ue – vediamo il nostro futuro in Europa».

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