Il governo turco ha deciso di eliminare la pubblicità da Twitter, Pinterest e Periscope dopo che i social si sono rifiutati di seguire le nuove norme che mirano ad aumentare il controllo governativo sulle piattaforme attive nel paese. Il viceministro dei Trasporti ha accusato la società di Jack Doresy di perseguire un modello «fascista». Tra le misure previste dalla nuova legge c’è la nomina di un responsabile governativo nella struttura aziendale dei social. Un atto che le piattaforme si sono fin qui rifiutati di attuare in una guerra che ha visto il fronte dei social inizialmente compatto, iniziare a mostrare i primi segni di cedimento proprio questa settimana.

La bandiera bianca di Facebook

Lunedì 18 gennaio Facebook ha deciso di abbandonare la battaglia dei social contro il governo del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il social fondato da Mark Zuckerberg ha infatti nominato un responsabile governativo all’interno della sua struttura aziendale garantendo però di essere pronto a rimuoverlo in caso di ingerenze editoriali. A far cedere Facebook sono state le varie azioni repressive messe in atto dal governo turco che oltre ad approvare diverse multe milionarie contro le piattaforme che non avevano rispetto le nuove leggi, il 12 gennaio ha aperto un’indagine su Whatsapp, l’app di messaggistica rilevata dal social nel 2014 e accusata da Ankara di avere violato la privacy dei consumatori fornendo dati personali proprio a Facebook. Anche Youtube e Google hanno decisoo di rispettare la nuova legge.

L’ombra del golpe

Le azioni del governo turco nei confronti dei social rientrano nell’offensiva repressiva lanciata da Erdogan dopo il golpe ai suoi danni fallito nel 2016. Il tentativo di colpo di stato aveva causato la morte di 251 persone e il ferimento di altre duemila. Nel corso degli ultimi mesi, i tribunali di Ankara hanno condannato 337 militari giudicati colpevoli di avere partecipato al tentativo di defenestrare Erdogan. Inoltre, altri 82 militari sono stati incarcerati sempre perché coinvolti nel golpe. La Turchia accusa il predicatore e predicatore Fethullah Gulen di essere il responsabile del golpe. Gulen, residente da anni negli Stati Uniti, ha sempre negato.

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