Twitter si sta mettendo a fare da guardiano perché lo svolgimento del processo elettorale possa compiersi pienamente e in modo democratico. Come? Provate a cercare il tweet in cui Donald Trump, al nostro risveglio questa mattina, ha dichiarato che gli stanno “RUBANDO” (il maiuscolo è suo) l’elezione.

Vi risulterà oscurato: «Il contenuto condiviso in questo tweet, tutto o in parte, è controverso e potrebbe essere fuorviante in merito alla modalità di partecipazione alle elezioni o ad altri strumenti di coinvolgimento della cittadinanza». 

Soltanto insistendo coi click arriverete a leggere il messaggio presidenziale: «Andiamo FORTE ma loro stanno ancora provando a RUBARCI l’elezione. Non lo consentiremo. I voti non possono esser conteggiati una volta che i seggi sono chiusi».

Il check di Twitter pure in Europa

Fate un secondo tentativo: cercate il tweet pubblicato sul suo account dal premier sloveno, sovranista, di destra, subito dopo il discorso di Trump di questa mattina (in cui si autoproclama vincente e invoca lo stop al conteggio dei voti, «stop ai voti» dice, pensando in realtà soprattutto al voto per posta, tendenzialmente pro dem). Janez Jansa scrive: «Mi pare evidente che il popolo americano abbia eletto Trump, più si insiste a voler ritardare o negare l’assegnazione della vittoria a lui, più ne esce forte». 

Sotto quel tweet, che non proviene neppure da un attore Usa né dal contesto americano, ma da un premier europeo, compare un avviso in evidenza: «Fonti ufficiali – dice – potrebbero non aver assegnato la vittoria quando questo tweet è stato pubblicato». 

Lo scontro Trump-Twitter

Questi esempi mettono in evidenza il ruolo che Twitter ha scelto di assumere nei confronti del presidente Donald Trump già da tempo, e ora durante questa competizione elettorale. La presa di posizione non è nuova, anche se qui emerge con particolare evidenza, spingendosi dentro i confini europei.

A maggio The Real Donald Trump, irritato per i suoi tweet presidenziali censurati, ha firmato un ordine esecutivo contro il social media. In primavera infatti il check, il controllo di Twitter si è abbattuto pure sui suoi post. Trump aveva scritto – dando avvisaglie della sua strategia attuale – che «praticamente è certo che il voto per posta sarà fraudolento». Il social aveva messo un avviso: queste affermazioni «sono unsubstantiated, infondate». A quel punto Trump ha minacciato di “rompere” Twitter: «Zittisce le voci conservatrici, ci mette a silenzio. E allora noi lo regoleremo duramente, o chiuderemo direttamente i social network, prima che ricapiti».

L’immunità negata

A questa minaccia ha fatto seguito la firma dell’ordine esecutivo finalizzato a togliere protezioni legali alle piattaforme dei social media. Fino a quel momento, infatti, una legge risalente al 1996 garantiva che questo tipo di operatori non fosse omologato sul piano giuridico agli editori tradizionali, che sono responsabili di ciò che pubblicano. Con l’iniziativa di Trump questa sorta di “immunità” dei social è stata intaccata: non vale se la piattaforma edita i contenuti.

Magari mettendoci sopra una etichetta che segnala che esaltano la violenza o dicono falsità… Il climax dello scontro è stato raggiunto con l’oscuramento da parte di Twitter di un messaggio in cui il repubblicano affermava che: «Non posso stare a guardare ciò che succede a Minneapolis»; erano in corso le proteste a seguito dell’uccisione di George Floyd. «O il debolissimo sindaco di sinistra si dà una mossa o mando la Guardia nazionale a fare il lavoro che serve». Per il social si trattava di «esaltazione della violenza», dunque ha censurato il presidente, e non solo sul suo account personale, ma pure quando a rilanciare il messaggio è stata la Casa Bianca dal suo profilo social istituzionale.

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