Qualche ora prima della conferenza stampa di Xi e Putin a Mosca, il ministero degli Esteri di Pechino ha fatto sapere che «la Russia ha studiato attentamente il documento della Cina sulla soluzione politica della questione ucraina ed è aperta a colloqui di pace».

Così tutti hanno dovuto prendere atto che, fin dentro al Cremlino, a menare la danza della diplomazia è la Cina di Xi Jinping. All’avventurista Vladimir Putin, inseguito da un mandato di cattura della Corte penale internazionale e dai fantasmi di migliaia di giovanissimi connazionali mandati al massacro, non resta che afferrare la mano del suo quasi-alleato che promette di condurlo verso una tregua.

La guerra in Ucraina è a un punto di svolta, grazie alla mediazione cinese? Troppo presto per dirlo, ma è evidente che qualcosa si è mosso da quando, nelle ultime settimane, Pechino ha abbandonato la “neutralità filorussa” per promuovere un “pacifismo filorusso”.

Nella seconda giornata di visita di stato a Mosca di Xi, la Cina ha fatto sapere che sta lavorando a un faccia a faccia (molto probabilmente online) con Volodymyr Zelensky, con cui il presidente cinese non ha mai parlato dall’inizio della guerra.

Kishida da Zelensky

L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani ha comunicato che la guerra ha causato oltre 8mila morti e 13mila feriti tra i civili ucraini.

Ma per il segretario di stato americano, Antony Blinken, qualsiasi richiesta di cessate il fuoco «che non includa il ritiro delle forze russe dal territorio ucraino sosterrebbe di fatto la ratifica della conquista russa, perché consentirebbe al presidente Putin di far riposare e riorganizzare le sue truppe».

E il Pentagono sta accelerando la consegna all’Ucraina dei carri armati Abrams. Il “piano di pace” cinese in effetti non parla di ritiro dei militari russi. Ma prevede il «rispetto della sovranità di tutti i paesi» e dunque non lascia spazio al riconoscimento dell’annessione russa della Crimea, di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia.

Nonostante il sostegno politico ed economico dato fin qui a Mosca, Pechino mantiene buoni rapporti con l’Ucraina (che non ha mai respinto una mediazione di Pechino), che in Cina esporta ingenti quantità di materie prime: è in grado insomma di esercitare una leva nei confronti di entrambe le parti.

Ieri a Kiev c’è stata la visita a sorpresa del premier nipponico, che ha incontrato Zelensky, al quale ha assicurato che il suo governo «respinge con fermezza l’aggressione della Russia contro l’Ucraina e la modifica unilaterale dello status quo con la forza, e riconfermerà la sua determinazione a sostenere l’ordine internazionale basato sullo stato di diritto».

I media giapponesi hanno sottolineato che quella di Fumio Kishida è la prima visita di un primo ministro giapponese a un paese in guerra dal secondo conflitto mondiale. Messo da parte il pacifismo postbellico, Tokyo ha varato un piano pluriennale di riarmo delle sue forze di difesa e si sta segnalando come alleato più fedele degli Stati Uniti nell’opera di contenimento della Cina in Asia.

Il viaggio in Ucraina e in Polonia (dove sarà oggi) di Kishida mentre Xi è a Mosca ha un evidente valore simbolico: se la seconda economia del pianeta sostiene Putin, la terza (oltre alla prima) sta con l’Ucraina e la Nato, con cui Tokyo ha recentemente rafforzato la sua partnership.

De-dollarizzazione

A Mosca si sono sedute attorno a un tavolo due delegazioni ai massimi livelli. Putin era affiancato, tra gli altri, dal ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, da quello della Difesa, Sergej Shoigu, dalla governatrice della banca centrale, Elvira Nabiullina.

Accanto a Xi c’erano il ministro degli Esteri, Qin gang e Cai Qi, numero cinque del partito comunista cinese.

Xi ha invitato Putin a ricambiare la visita a Pechino quest’anno, in occasione del terzo forum che sarà organizzato per il decennale del lancio della nuova via della Seta.

Al primo ministro russo, Mikhail Mishustin, Xi ha ribadito l’obiettivo di espandere ulteriormente la cooperazione economica e commerciale bilaterale, mantenere la sicurezza e la stabilità delle catene di approvvigionamento e difendere assieme la sicurezza energetica di entrambi i paesi.

Putin ha ricordato che due terzi degli scambi Russia-Cina avviene in rubli o yuan e ha insistito sulla de-dollarizzazione: «Dovremmo incoraggiare ulteriormente l’utilizzo delle valute nazionali nel commercio bilaterale, e ampliare la presenza reciproca delle strutture finanziarie e bancarie nei mercati dei nostri paesi».

© Riproduzione riservata