Una pace giusta per uscire dal conflitto fra Russia e Ucraina: è quella che chiedono i vescovi dell’Ue riunitisi nei giorni scorsi a Bruxelles. L’assemblea della Commissione delle conferenze episcopali dell'Unione europea (Comece), organismo che riunisce i delegati degli episcopati europei, svoltasi al 12 al 14 ottobre, si è chiusa con un appello per la pace «in Ucraina e nell’Europa intera».

Il testo parla esplicitamente di aggressione del Cremlino – stabilendo un’importante differenza fra popolo russo e leadership di Vladimir Putin – e ripropone il tema del rispetto dell’integrità territoriale ucraina e del diritto internazionale, già sollevato da papa Francesco, quale base per aprire un negoziato credibile. A partire da ciò si chiede anche all’Ucraina di aprirsi al dialogo secondo il principio di una «pace giusta».

In definitiva i vescovi dell’Ue, sotto la guida del cardinale e gesuita Jean-Claude Hollerich, non hanno esitato ad attribuire al leader russo la responsabilità del conflitto; in questa presa di posizione netta e priva delle consuete prudenze, hanno avuto il loro peso gli episcopati dell’Europa orientale e continentale.

Accuse a Putin, non ai russi

D’altro canto, come ha spiegato il vicepresidente della Comece, monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina, al sito d’informazione vaticana Vatican news, «Il documento finale è stato analizzato parola per parola, per dire che c’è stata una condivisone convinta e motivata». «Noi, vescovi delegati delle conferenze episcopali dell’Unione europea, riuniti durante l’assemblea plenaria d'autunno - si legge nell’incipit dell’appello per la pace - ci sentiamo colmi di profonda tristezza per le orribili sofferenze umane inflitte ai nostri fratelli e sorelle in Ucraina dalla brutale aggressione militare dell’autorità politica russa».

Non si chiama in causa un intero paese, ha sottolineato monsignor Crociata, ma il governo che attualmente guida la Russia; in tal modo evidentemente, i vescovi cercano di isolare le responsabilità politiche da quelle di un intero popolo con il quale si vuole tornare a costruire relazioni amichevoli.  «In piena comunione con i numerosi appelli lanciati da papa Francesco e dalla Santa Sede – si affermano poi nel documento - anche noi rivolgiamo un forte appello ai responsabili dell’aggressione, affinché sospendano immediatamente le ostilità, e a tutte le parti affinché si aprano a serie proposte per una pace giusta, in vista di una soluzione sostenibile del conflitto nel pieno rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina».

D’altro canto, la posizione messa a punto dagli episcopati europei come quella della Santa Sede delle ultime settimane, è stata influenzata sempre di più dal prezzo che stanno pagando i civili vittime del conflitto e dalle notizie relative all’escalation di violazioni dei diritti umani; un aspetto, questo, che emergeva anche dalle parole pronunciate da Francesco al termine dell’udienza generale di ieri: «torniamo con il pensiero alla martoriata Ucraina e preghiamo per l’Ucraina: preghiamo per le cose brutte che stanno succedendo lì, le torture, le morti, la distruzione».

Diritto internazionale e visione profetica

Di fatto, l’impegno per la pace promosso dal Vaticano e dalle chiese europee, si muove ora lungo due binari. Da una parte c’è la forte richiesta rivolta a Mosca e a Kiev di cercare una via d’uscita negoziale al conflitto; un appello tuttavia che si precisa nel riconoscimento delle responsabilità dell’ «aggressione» militare russa all’Ucraina e soprattutto nel ripristino del diritto internazionale violato, punto di riferimento tradizionale nella diplomazia promossa dalla segreteria di Stato vaticana nelle crisi internazionale (fino a parlare, entro limiti etici ben precisi, di diritto alla difesa).

Allo stesso tempo, tuttavia, c’è la visione profetica di papa Francesco che, con radicalità evangelica, contesta la guerra in tutte le sue forme, denuncia la terza guerra mondiale a pezzi che si sta già combattendo sui tanti fronti caldi del mondo, chiede una moratoria della produzione e del traffico di armi che alimentano i conflitti.

In tal modo la Santa sede, sia pure per approssimazioni successive e grazie a una pluralità di sensibilità continentali differenti, è approdata a una impostazione che la colloca, sulla scena internazionale, come uno dei pochi attori credibili nell’avanzare una proposta negoziale e di pace. Al medesimo tempo la chiesa di Roma, fra le tante divisioni e fratture che attraversano le chiese ortodosse da Mosca a Kiev a Istanbul, e che separano in generale il cristianesimo d’oriente e d’occidente, può giocare un ruolo di primo piano in un’eventuale futura ricucitura del dialogo ecumenico.

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