L’analista del Quincy Institute spiega che l’occidente non ha mai afferrato le dinamiche familiari e tribali che reggono il paese. I presidenti americani da Bush a Biden hanno condotto la campagna con una «sequenza di errori concatenati», culminati con un ritiro condotto in modo «umiliante»: «Ma era già chiaro dieci anni fa che non sarebbe finita bene»
- Anatol Lieven è ricercatore presso il Quincy Institute for responsible Statecraft di Washington, un think tank finanziato tra gli altri da George Soros e Charles Koch, nato con l’obiettivo di ripensare alla politica estera americana nell’ottica di limitare al minimo gli interventi militari.
- «Non c’era modo di portare a termine il ritiro senza conseguenze: le avevano previste tutti, solo non in tempi così rapidi», dice Lieven.
- L’analista spiega anche il ruolo della Russia: Mosca «vuole solo due cose dai Talebani. La prima è che non sostengano i ceceni e più in generale militanti islamici contro la Russia. La seconda è che interrompano il commercio di eroina».
Tra gli aspetti che gli Stati Uniti e più in generale le forze occidentali coinvolte in Afghanistan non hanno colto e considerato per prevenire, o quanto meno prevedere, una caduta così rapida di Kabul, ci sono i negoziati in corso da anni tra i Talebani e le forze afghane. Ne abbiamo parlato con Anatol Lieven, ricercatore e analista presso il Quincy Institute for responsible Statecraft di Washington, un think tank finanziato tra gli altri da George Soros e Charles Koch, nato con l’obiettivo



